Ralph Spacca Internet

Oltre il Concetto di Sequel

Nel 2012 l'uscita di Ralph Spaccatutto rappresentò un punto di svolta per i Walt Disney Animation Studios. Fino a quel momento, si riteneva che il filone dei film animati basati sull'esplorazione di universi complementari al nostro fosse prerogativa della Pixar. La casa di Emeryville aveva in effetti basato buona parte della propria filmografia proprio su questo meccanismo narrativo, portando lo spettatore a visitare il mondo dei giocattoli, degli insetti o dei mostri, e lasciando al marchio Disney l'esclusiva sul cinema d'animazione più fiabesco. A dire il vero, i WDAS non erano affatto estranei a questo approccio narrativo, come dimostra la fortunata serie anni 30 delle Silly Symphonies, eppure l'uscita di Ralph Spaccatutto e successivamente di Zootopia (2016) furono recepiti dal pubblico come un drastico cambio di regole: la Disney aveva “sconfinato” oltre il proprio settore, rivendicando la possibilità di produrre cinema d'animazione a 360°, senza farsi definire da un singolo genere.

A differenza della fiaba o del racconto di formazione, questa tipologia di film spesso non esaurisce il proprio potenziale nell'arco di un singolo lungometraggio. Una volta impostate le regole di un mondo, è naturale porsi delle domande, voler scavare in profondità, cercando parallelismi e differenze con la nostra realtà di partenza. E in un momento storico in cui il cinema si sta votando ad una sempre maggior serializzazione, il sequel è dietro l'angolo. Nel caso di Ralph Spaccatutto, gli stessi autori affermavano nelle interviste di aver dovuto sacrificare molte idee, limitandosi a grattare la superficie di quell'universo narrativo. Molto era il materiale che ci si augurava di poter sviluppare in un eventuale seguito, dalle origini di Felix ad un ipotetico team-up con Super Mario, passando per il mondo del gaming online. A venir portata avanti fu proprio quest'ultima idea, alla quale se ne associarono altre, fino a che il focus del progetto si spostò. Il secondo capitolo della saga digitale disneyana, anziché approfondire ulteriormente il mondo videoludico, avrebbe invece trattato un tema analogo, abbastanza robusto da sostenere l'intera pellicola: internet.

Curiosamente, fu proprio questo sequel a ricevere la luce verde e ad entrare per primo in produzione, scavalcando il ben più atteso Frozen II, e diventando così l'apripista di una nuova fase creativa incentrata sui franchise. Sebbene già in passato gli studios avessero permesso ad alcuni loro personaggi come Paperino, Bianca e Bernie o Winnie the Pooh di tornare sul grande schermo in nuove avventure, questo fu il primo sequel prodotto secondo la prassi moderna, coinvolgendo lo stesso team di artisti che aveva lavorato al primo film. Rich Moore, dopo aver codiretto Zootopia, venne fatto tornare alla regia, questa volta in coppia con Phil Johnston, sceneggiatore di entrambe le avventure. La pellicola venne in un primo momento intitolata, con una certa ridondanza, Ralph Breaks the Internet: Wreck-It Ralph 2, tuttavia a pochi mesi dall'uscita la seconda metà del titolo venne rimossa. Il nuovo nome descriveva meglio la natura del prodotto, che non era un sequel in senso stretto: si trattava certamente del secondo capitolo della storia di Ralph e Vanellope, ma era anche “il film di internet”, idealmente autonomo e con una sua specifica identità.

Oh My Internet!

Ralph Spacca Internet racconta l'odissea di Ralph e Vanellope all'interno del World Wide Web. Alla ricerca di un pezzo di ricambio per il cabinato di Sugar Rush, i due esplorano il mondo internettiano, scoprendo alcune cose su loro stessi che li segneranno per sempre. I primi minuti della pellicola, ambientati alla sala da gioco Litwak, appaiono un po' derivativi: una rimpatriata come tante ne abbiamo viste nel cinema animato di questi anni. Ma quando i due arrivano finalmente in rete, la storia spiega le ali, mettendo in atto tutto il suo potenziale. Sembra quasi un film a sé: lo spettatore viene travolto da una carrellata di trovate ingegnose, che riescono a tradurre in immagini concrete le dinamiche digitali a cui veniamo quotidianamente sottoposti. I motori di ricerca, ebay, i social network, lo spam e persino il dark web con i suoi virus vengono rappresentati in modo arguto, dando della rete un'immagine equilibrata, a metà strada tra luce e ombra. Grandi orizzonti, grandi potenzialità, ma anche tentazioni, vanità, pigrizia e odio gratuito: il film affronta svariati aspetti del fenomeno mostrandocelo per quel che è, senza per questo cadere nel vuoto moralismo.

Il web viene rappresentato come una grande e ariosa città che si estende in verticale: ogni edificio rappresenta un sito internet, la cui posizione geografica dipende dalla sua funzione e dalla frequenza di utilizzo. Esistono diversi distretti (quello commerciale, quello videoludico, quello degli antivirus), e i siti più anziani tendono a rimanere in basso, lasciando il posto a quelli più in voga. Gli abitanti (netizens) sono gli algoritmi, figure antropomorfe che rappresentano il personale di servizio dei vari siti, mentre gli utenti (net users) vengono raffigurati come buffi omini dal design squadrato e dall'atteggiamento frivolo e iperattivo. In questo universo narrativo è possibile scorgere davvero di tutto. Gli sceneggiatori hanno infatti rimpinzato ogni frame di citazioni e riferimenti, mescolando siti reali e fittizi e dando ovviamente a questi ultimi un rilievo narrativo maggiore. Data l'eccezionalità della situazione, si è pensato comunque di ambientare una sequenza del film all'interno di ohmydisney.com, blog realmente esistente di proprietà della Disney Company, creando il presupposto narrativo per far interagire i personaggi con le altre icone della storia disneyana.

Questa ispirata e divertita autocelebrazione attinge al patrimonio creativo di tutti gli studi di punta della Company: i personaggi WDAS si mescolano quindi a quelli Pixar, Marvel, Lucasfilm e persino Muppet Studios, riportando alla memoria la Toontown di Chi Ha Incastrato Roger Rabbit? (1988). Quella che a un primo sguardo può apparire una scelta dissacrante, è in realtà un'intelligentissima mossa di storytelling aziendale: con la scusa di far citazioni e riderci sopra, la Disney fa sfilare in passerella il suo intero immaginario, mostrandoci quanti e quali franchise ha nell'arsenale e come questi si fondano armonicamente nella sua vision complessiva. Ci si diverte inoltre a fare qualche distinguo: la scena in cui Merida viene discriminata dalle altre principesse in virtù della sua appartenenza al canone Pixar non è solo una gag ma una rivendicazione importante per i Walt Disney Animation Studios, che dopo decenni di confusione si ritrovano a tracciare un divisorio tra ciò che è loro e ciò che non lo è.

Amica?

La sequenza di Oh My Disney è stata sicuramente una di quelle su cui si è puntato in fase di lancio, anche per collegare maggiormente il film ad un repertorio che nella percezione comune continua ad essere perlopiù favolistico. Eppure questa bizzarra parentesi non rappresenta solo un ammiccamento fine a sé stesso, ma ha una sua specifica funzione all'interno dell'ingranaggio narrativo: è il punto di non ritorno per il personaggio di Vanellope. Ralph Spacca Internet infatti non si dimentica di essere il sequel di Ralph Spaccatutto e, senza farsi distrarre eccessivamente dalla sua ambientazione, decide di dare una drastica svolta allo status quo stabilito. La bellissima frase che chiudeva il primo film ci diceva che Ralph, attraverso l'amicizia con la ragazzina, aveva imparato a guardare a sé stesso con occhi diversi. I registi, partendo da questo concetto, hanno pensato che Ralph dovesse crescere ulteriormente, arrivando al punto di non farsi definire unicamente dal rapporto con lei. E, a costo di essere impopolari, decidono che è arrivato il momento di separarli.

Le prime scene, in cui vediamo i due vivere la loro amicizia di routine, ci danno i primi segnali di qualcosa di sbagliato. Ralph è un uomo adulto e abitudinario, Vanellope una ragazzina che cerca altri orizzonti per “crescere”. E sebbene il concetto di età sia piuttosto relativo nel loro immutabile mondo, il sottotesto è evidente: i due hanno orizzonti differenti e il loro rapportarsi non è equo. Basta quindi che Vanellope abbia un piccolo assaggio di vita internettiana, per portarla a decidere di stabilirsi nel videogioco online Slaughter Race, mandando in pezzi le rassicuranti certezze di Ralph. Se nella prima parte del film ad essere presi in esame sono alcune caratteristiche ben precise di internet, tra cui i meme, l'effimera ricerca di popolarità e il brutale effetto dei commenti degli hater su chi produce i contenuti, il finale ripiega su qualcosa di ancora più universale e costituisce una riflessione piuttosto amara sulla solitudine, l'insicurezza e i rapporti morbosi.

Il tentativo di Ralph di tarpare le ali a Vanellope, offrendole una forma di amicizia tossica e possessiva, viene audacemente tradotto in immagini, dando vita alla disturbante sequenza di Ralphzilla, il gigantesco mostro nato dalla sua vulnerabilità, che come un enorme Donkey Kong ci riconduce alla matrice originaria che ispirò il personaggio dello spaccatutto. Ralph Spacca Internet è quindi un film che non teme di contrariare lo spettatore, pur di recapitare il suo messaggio. Il finale può lasciare l'amaro in bocca e non è affatto al servizio del pubblico, cosa decisamente coraggiosa in tempi di assoluto fanservice, ma è intelligente e fa quello che la buona narrazione deve fare, disattendendo le nostre aspettative pur di offrirci un contenuto in grado di sfiorarci. Ralph non impara soltanto a lasciar andare Vanellope, ma viene fatto intendere che questo preluda a una ricalibrazione dei rapporto con Felix e con gli altri personaggi suoi coetanei, amicizie che in precedenza aveva preso sottogamba.

Un Secolo di Animazione

Sul fronte visivo, Ralph Spacca Internet è il lungometraggio animato disneyano che osa di più in termini di varietà stilistica. Già il suo predecessore si era trovato a far convivere all'interno della stessa pellicola personaggi di taglio molto diverso, sottolineando così la sua natura “multietnica”: Ralph e Felix avevano un design più caricaturale rispetto al look kawaii di Vanellope e alle proporzioni realistiche di Calhoun, senza contare ovviamente la fedeltà ai modelli originali dei personaggi concessi su licenza, come Bowser e Sonic. Il sequel si spinge oltre, sfruttando internet per allargare ancor più il divario stilistico fra i singoli elementi e lavorando quindi sui contrasti: per ragioni narrative, all'interno del mondo di Slaughter Race prevale, ad esempio, il fotorealismo, mentre tra le strade della metropoli internettiana a dominare sono le tinte pastello, in un'atmosfera volutamente astratta e irreale. Lo stesso vale per i personaggi, la cui realizzazione grafica parte da un ragionamento che varia a seconda della loro “estrazione sociale”. I net users, con il loro design squadrato e le proporzioni chibi, ricordano moltissimo i pupazzetti Funko Pop, rappresentazioni semplificate di figure reali. Invece i caricaturali netizens, come J. P. Spamley e Mr. Knowsmore, costituiscono un divertito omaggio all'animazione stilizzata degli anni 50, che vedeva in Ward Kimball il suo principale interprete.

Sono presenti persino alcune sperimentazioni decisamente azzardate: i filmati, i meme e i montaggi che vediamo caricati sui social network riproducono in tutto e per tutto il feeling delle loro controparti reali, anche a costo di apparire volutamente sciatti. Un altro esempio sono le animazioni sfarfallanti, illogiche e scattose degli utenti in Slaughter Race, utili a renderli distinguibili a colpo d'occhio dal “personale non giocante”, come la gang di Shank. Quest'ultima rappresenta probabilmente uno dei migliori risultati ottenuti dallo studio in termini di CGI, portando avanti quel discorso sulla figura umana, iniziato da Glen Keane con Tangled (2010). Ancor più impressionante, però, il lavoro fatto con Yesss, la “talent scout” che gestisce BuzzTube. Si tratta di un personaggio femminile sofisticato quanto Shank, ma con quel tocco “cartoon”, dovuto alla sua natura di algoritmo, che la rende ancor più originale e sorprendente. Tutto questo dimostra quanto Ralph Spacca Internet costituisca un vero e proprio manuale per aspiranti animatori, un po' quello che The Jungle Book (1967) fu per la generazione di artisti immediatamente precedente.

L'enciclopedica sequenza Oh My Disney rappresenta infine la ciliegina sulla torta, mettendo di fronte allo spettatore ogni possibile declinazione della legacy disneyana. Addirittura nella folla di personaggi è possibile individuare alcune figure piatte, animate a mano da Mark Henn, come il Topolino Apprendista Stregone, l'orso Humprey e il ranger Woodlore. Proprio Henn si è ritrovato ad assumere il difficile compito di supervisionare la scena con le principesse Disney, trovando la giusta via di mezzo per uniformare il design di ben quattordici personaggi diversi, uno dei quali (Merida), preso in prestito da un altro studio. Chiaramente a soffrire di più di questo passaggio alla terza dimensione sono le più antiche come Biancaneve, Cenerentola e Aurora, mentre quelle di ultima generazione come Anna, Elsa e Moana rimangono pressocché invariate. Henn fa il possibile per rispettare i modelli originali, specialmente quando si tratta di personaggi a cui lui stesso lavorò, come Belle, Jasmine, Tiana e soprattutto Mulan, una delle più convincenti. Anomalo invece il caso delle principesse inventate da Glen Keane: la stilizzazione di Pocahontas riesce bene, mentre Rapunzel stranamente perde molto della sua estetica originale, pur essendo fra i personaggi nati già in computer grafica. Incredibile, infine, il risultato avuto con Ariel, trasposizione assolutamente perfetta nell'espressività e nelle movenze dell'originale lavoro di Keane.

La Sintesi di Menken

Il primo Ralph Spaccatutto era stato un film intelligente, in grado di proiettare i WDAS verso nuove frontiere narrative. Tuttavia, aveva in un certo senso “tradito” la poetica disneyana, rendendo ben poco onore a quello che era da sempre stato un elemento fondamentale del cinema di Walt: la musica. Molti nomi famosi erano stati coinvolti per firmare le canzoni che ne componevano la colonna sonora, tuttavia si trattava di brani diegetici (esistenti in universe), destinati a rimanere in sottofondo, o peggio, nei titoli di coda. Negli anni successivi la filmografia Disney si era spaccata letteralmente in due: da un lato i tradizionali musical fiabeschi con protagoniste femminili, come Frozen e Moana, dall'altro i film avventurosi o dal sapore “pixariano” come Big Hero 6 e Zootopia, decisamente carenti sotto il profilo musicale. Pur allineandosi apparentemente a questa seconda tipologia, Ralph Spacca Internet sceglie di scombinare le carte, sfidando la rigida dicotomia e riunendo le due anime del cinema disneyano in una sola. A permetterlo è ovviamente la sequenza Oh My Disney, compendio dell'immaginario aziendale e punto di svolta narrativo dell'intera vicenda.

  • A Place Called Slaughter Race - Dopo otto anni di assenza dai Walt Disney Animation Studios, torna Alan Menken, padre putativo della musica Disney sin dagli anni del Rinascimento anni 90. Il suo ritorno in scena, anche se per un singolo brano, ha un valore grandissimo anche sul piano puramente metanarrativo. Dopo il breve incontro con le principesse Disney, Vanellope viene fortemente influenzata dallo spirito disneyano più puro, rielaborandolo a modo suo e diventando protagonista della sua personale “i want song”. Due mondi si incontrano, e due differenti approcci al cinema animato si sposano felicemente, dando vita a una suntuosa sequenza in stile broadway, vissuta però nello scenario urbano di Slaughter Race. Vanellope e Shank duettano felicemente, giocando con il contrasto tra l'intensità della melodia e il prosaico squallore del testo. Non semplicemente un Menken che fa la parodia di sé stesso, bensì un Menken che adatta il suo stile fastoso al registro parodico, esattamente come aveva fatto qualche anno prima nella splendida serie televisiva Galavant (2014), prodotta per la disneyana ABC. E proprio come in Galavant, il retrogusto umoristico non toglie niente alla verità di quanto messo in scena, alla solidità e alle motivazioni dei personaggi. Divertente, funzionale alla storia e decisamente riuscita, A Place Called Slaughter Race si rivela una della scelte più vincenti del film, rivendicando un'identità stilistica comune, senza dimenticare di includere in questa stessa sintesi i diversi aspetti del cinema Disney attuale.
  • Zero - Firmata dagli Imagine Dragons, è la canzone che accompagna i titoli di coda. Diversamente da molti brani del genere, destinati puntualmente all'oblio, Zero è stata fatta circolare in forma di videoclip nei mesi precedenti all'uscita. Ma soprattutto risulta valida e ben inserita: le sue note affiorano senza soluzione di continuità già durante gli ultimi malinconici momenti del film, e le immagini che la accompagnano forniscono una buona ricapitolazione di quanto visto finora. Il testo ha anche un riferimento piuttosto diretto allo stato d'animo di Ralph e al problema di autostima su cui ruota l'intera storia.
  • In This Place - Cantata da Julia Michael, occupa la seconda parte dei titoli di coda. Decisamente la più debole del lotto, non è nemmeno una canzone indipendente ma una cover pop del brano di Menken. La si è voluta considerare un pezzo a sé, dandogli un titolo e un feeling diverso. Il problema è che in questa rielaborazione l'energia è assente e la mancanza dell'orchestrazione menkeniana priva il pezzo di ogni contrasto e ragion d'essere.
  • Never Gonna Give You Up - Interessante come il film ironizzi sulla cultura internettiana, inserendo nei titoli di coda ben due scenette legate a tormentoni e meme del web. Nella prima vediamo una bambina lamentarsi dell'assenza nel film di una scena vista nel trailer salvo poi... introdurla lei stessa. Nella seconda il celebre videoclip di Rick Astley viene reinterpretato dai personaggi del film, dopo aver promesso allo spettatore una preview di Frozen II. Si tratta di un riferimento al celebre scherzo del rickrolling, l'inserimento a tradimento della canzone di Astley all'interno di un file con tutt'altro nome. Non c'è scampo: entrambe le gag risulteranno incomprensibili in futuro, ma perlomeno sono state inserite “fuori dal film”, lasciando invece alla pellicola il compito di trattare il web in modo universale.

Infine, un plauso va ad Henry Jackman, autore della partitura strumentale che attraversa l'intero film. Jackman, molto attivo da anni nel cinema d'animazione, aveva già firmato per i WDAS le musiche di Winnie the Pooh (2011) e Big Hero 6 (2014), oltre che del Ralph originale. Il lavoro svolto nel sequel è ancora una volta molto buono: non si limita a proporre infatti un sound elettronico e modernista, ma fa un grandissimo uso di musica orchestrale, ospitando all'occorrenza all'interno del proprio “tessuto sinfonico” anche citazioni ad altre colonne sonore, incluso ovviamente Star Wars. Decisamente rilevante è il brano A Big Strong Man in Need of Rescuing, che accompagna la sequenza di salvataggio di Ralph ad opera delle principesse e che nasconde con maestria in un unico medley passaggi tratti da ben sei film differenti.

Indispettire il Pubblico

Ralph Spacca Internet è sicuramente uno dei film più stratificati e complessi mai usciti dai Walt Disney Animation Studios. Traboccante di idee, guizzi e tematiche originali, riesce a superare il predecessore in diversi campi, risultando più uniforme nel ritmo e dimostrando una maggior padronanza della tecnica. È un film fatto di sapori dissonanti e audaci contraddizioni, tenute insieme da un equilibrio delicato e precario: in parte sequel, in parte film originale, un'avventura di formazione con un sottile strato di satira e una spruzzata di musical, un'opera per certi versi derivativa e ammiccante, per altri coraggiosa e addirittura spietata. Proprio in virtù di queste sue peculiarità, il 57° lungometraggio animato Disney ha suscitato diverse polemiche e perplessità, a cominciare dalla tanto chiacchierata sequenza crossover.

L'idea di un film in grado di riunire, anche se solo per una scena, l'intero cast delle principesse Disney si è rivelata vincente in fase di marketing, un vero e proprio ariete comunicativo, in grado di creare clamore e riavvicinare quella parte di pubblico legata all'immagine più tradizionale della casa del Topo. D'altra parte, la scelta ha indispettito gli spettatori meno amanti del marchio, che l'hanno recepita come un arrogante sfoggio di muscoli da parte di una Company desiderosa di elencare le sue proprietà intellettuali. Parte del pubblico inoltre non ha accettato di buon grado la separazione fra i due protagonisti e il finale agrodolce, criticando la fuga di Vanellope e ritenendola in aperta contraddizione con il messaggio di autoaccettazione formulato nel film precedente. Ma ci sono diversi modi di interpretare una storia, e di certo la ragazzina non aveva le stesse responsabilità di Ralph, personaggio con un percorso ben distinto da quello di una giovane studentessa in Erasmus.

Tuttavia controversie del genere sono fisiologiche quando la narrazione cinematografica decide di non farsi totalmente addomesticare e preferisce dire la propria, a costo di frustrare le aspettative del pubblico. A dispetto di tutto questo, e della spietata concorrenza fattagli dal bellissimo Spiderman: Into the Spiderverse della Sony, Ralph Spacca Internet ha avuto un buonissimo risultato al botteghino, ripagando ampiamente le spese, e spianando così la strada ad una nuova era produttiva per i WDAS, caratterizzata da sequel più frequenti, come dimostra l'immediatamente successivo Frozen II. Eppure, l'impressione è che i Walt Disney Animation Studios, pur abbracciando una policy caldamente incoraggiata dall'alto, non intendano affatto darsi per scontati, producendo seguiti poco ispirati o pensati col pilota automatico. Se si continuerà nel solco di questa seconda avventura di Ralph, i sequel che vedremo in futuro nasceranno da ragionamenti molto specifici e avranno una propria ragion d'essere, senza il rischio che si scelga di percorrere la facile strada del more of the same.

di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica

  • Titolo originale: Ralph Breaks the Internet
  • Anno: 2018
  • Durata:
Nome Ruolo