Winnie The Pooh - Nuove Avventure nel Bosco dei Cento Acri

Walt e i Giocattoli di Christopher

Nel 2011, qualche mese dopo il successo di Rapunzel, i Walt Disney Animation Studios tornano al cinema con un nuovo lungometraggio, così diverso dal predecessore, da spingere molti esperti di settore a chiedersi il perché di questa scelta. E in effetti, il brevissimo Winnie the Pooh, con la sua estrema semplicità, rappresenta una vera e propria anomalia nel percorso che i WDAS stavano compiendo in quegli anni. Oltre a segnare la fine del breve revival dell’animazione tradizionale, promosso da John Lasseter nei suoi primi anni di gestione, il nuovo film di Pooh si assume l'arduo compito di rilanciare un franchise con una lunga storia pregressa. Inoltre, la sua storia produttiva racconta di come un semplice favore fatto all’ufficio marketing, si sia tradotto in una vera e propria riappropriazione culturale da parte di un manipolo di grandi artisti. Ma per capire questi aspetti è necessario partire da lontano e ripercorrere la storia del rapporto fra l’orsetto creato da Alan Milne e l’animazione disneyana.

Come noto, lo scrittore inglese aveva imbastito l’affascinante universo narrativo del Bosco dei Cento Acri per connettersi emotivamente al figlio Christopher Robin, dal momento che non si riteneva molto bravo ad interagire coi bambini. Grazie a questo stratagemma, Milne aveva potuto inventare poesiole e brevi racconti con protagonisti il piccolo Christopher e i suoi pupazzi di pezza, calandoli in vicende surreali e minimaliste. Quella che poteva sembrare inizialmente una breve parentesi creativa si trasformò ben presto in un progetto importante: Milne scrisse abbastanza materiale a tema da riempire due libri in prosa e due in versi. Le sue storie incontrarono il favore del pubblico inglese e il successo fu travolgente: il loro punto di forza era la semplicità e l’umorismo nonsense, dal momento che avevano come protagonisti un gruppo di pupazzi che ragionavano come bambini. Parte del successo fu dovuto alla bravura dell’illustratore Ernest Shepard, amico dei Milne, il cui tratto sporco e allo stesso tempo morbido si adattava perfettamente alla sensibilità naif dell’opera.

Tutto questo colpì la fantasia di Walt Disney, che si aggiudicò i diritti dei libri, con l'idea di trarne un film animato. Il progetto venne tuttavia suddiviso in tre parti, rilasciate nei cinema a cavallo tra gli anni 60 e 70, sottoforma di mediometraggi della durata di mezz’ora. Al pubblico venne così presentato questo mondo un po’ alla volta, calandolo per gradi nella realtà del Bosco dei Cento Acri. Poi, nel 1977, i tre segmenti vennero montati insieme, andando a ricostituire il film pensato in origine. In quell’occasione, al materiale venne aggiunto un epilogo, realizzato ad hoc, in cui l’orsetto Winnie e il suo padroncino hanno un dialogo allusivo, preannunciando la fine dell'età della spensieratezza. A dispetto della sua patina prescolare, il Pooh disneyano si era rivelato un prodotto di alto livello, raccontando con piglio arguto il mondo dell’infanzia. Inoltre, l’opera giocava molto con la metanarrazione: i personaggi interagivano spesso con la voce narrante, consapevoli di trovarsi all’interno delle pagine di un libro. Data la sua genesi complessa, The Many Adventures of Winnie the Pooh è ad oggi l’unico film di montaggio ad essere incluso nel canone ufficiale dello studio, figurando come ventiduesimo film animato WDAS. La carriera disneyana dell'orsetto, tuttavia, non era finita.

Un Pupazzo allo Sbando

La deriva iniziò negli anni 80. Il nuovo team dirigenziale della Casa del Topo decise di diversificare la proposta della company, andando a creare una ramificazione a basso budget dell’animazione disneyana, una realtà a cui poter affidare serie televisive e progetti minori: Disney Television Animation. Furono questi reparti a ereditare in automatico qualunque nuovo progetto con protagonista l’orsetto, impiegandolo da qui in poi in ogni genere di cosa. Nell’arco di due decenni vennero messe in piedi serie animate, lungometraggi cinematografici, direct to video, speciali televisivi e compilation eterogenee, tutte di qualità oscillante. L’orsetto di Alan Milne venne pesantemente inflazionato, mentre anno dopo anno il nuovo materiale finiva per adombrare sempre più l’opera disneyana da cui tutto era partito.

Il crollo tuttavia non fu repentino. I primi prodotti televisivi erano di buona fattura, e fra questi si ricorda la serie animata Le Nuove Avventure di Winnie the Pooh (1988), sufficientemente curata e rispettosa delle fonti. Anche il primissimo lungometraggio direct to video, Alla Ricerca di Christopher Robin (1997), venne condotto con una certa sensibilità: si riagganciava all’epilogo del primo film, parlando dell’assenza di Chistopher e dello sconvolgimento portato nella vita dei suoi giocattoli. Il picco qualitativo si ebbe con The Tigger Movie (2000), con un’animazione di livello così alto da fargli guadagnare l’uscita nelle sale, per non parlare del ritorno dei Fratelli Sherman alla colonna sonora. Ma da lì in poi qualcosa si inceppò. I DisneyToon Studios, nome che nel frattempo aveva assunto l’unità di Disney Television adibita ai lungometraggi home video, tentavano con sempre meno budget e con soluzioni via via più maldestre di dare continuità al brand, fallendo in modi sempre diversi.

Ci furono altri due film destinati alle sale, Piglet’s Big Movie (2003) e Pooh’s Heffalumps Movie (2005), decisamente fiacchi, e nel mezzo un altro direct to video, Springtime with Roo (2004) che proponeva una bizzarra versione pasquale del celebre Canto di Natale di Dickens. E non si possono ignorare le numerose compilation home video composte da materiali di repertorio, che l’azienda spacciava come lungometraggi nuovi di zecca. Che il brand non fosse in buona salute era chiaro anche dal fatto che il suo focus si era progressivamente spostato da Pooh al cangurino Ro e al suo nuovo amichetto, il giovane efelante Effy (Lumpy), in un tentativo di focalizzare il prodotto su una specifica fascia di età. Con la serie tv prescolare in CGI I Miei Amici Tigro e Pooh (2007) si arrivò probabilmente al punto di rottura: parte dell’originale cast del Bosco dei Cento Acri, compresi Christopher Robin e Uffa, venne messo da parte per far posto a personaggi del tutto estranei al microcosmo di Alan Milne. Non stupisce che dopo un tale detour si sia deciso di porre rimedio alla cosa, facendo marcia indietro e restituendo Winnie the Pooh alla sua dimensione originaria.

Il Revival di Burny Mattinson

L’esistenza di questo film si deve quindi a un fortunato concorso di cause. Da un lato la Disney Company aveva bisogno che uno dei suoi tanti reparti si mettesse all’opera per rilanciare un franchise in cattiva salute, dall’altro c’era John Lasseter con la sua esigenza di tenere impegnata la squadra di animatori 2D che aveva faticosamente rimesso insieme ai WDAS. Dopo il modesto successo di The Princess and the Frog (2009) il futuro dell’animazione tradizionale era stato messo di nuovo a repentaglio. Tangled era piaciuto al pubblico molto di più, mostrando le potenzialità della CGI fino a quel momento inespresse, e così gli artisti del disegno a mano erano sul punto di disperdersi un’altra volta. Se un progetto snello come questo fosse stato affidato proprio ai Walt Disney Animation Studios, l’orsetto avrebbe avuto il miglior rilancio possibile, mentre l’animazione 2D avrebbe potuto godere almeno di un altro giro di danza.

L’operazione inoltre, non richiedendo un budget eccessivo, avrebbe avuto il sapore di una “giustizia poetica”: gli animatori appartenenti alla seconda generazione disneyana erano cresciuti adorando i personaggi del Bosco dei Cento Acri, a cui i loro stessi maestri avevano dato vita tanto tempo fa. Ma, pur essendosi formati a bottega dai nine old men, non avevano mai avuto occasione di cimentarsi con il mondo di Pooh, che era stato per anni subappaltato a gruppi esterni. Prendere in mano il cast e darne la loro versione definitiva, tracciando una linea di successione diretta, poteva essere un’occasione ghiotta per riappropriarsi della loro eredità perduta. I registi a cui Lasseter affidò il progetto furono Stephen Anderson, che aveva appena finito di dirigere Meet the Robinsons, e lo storyman Don Hall, qui alla sua prima regia, ma che avrebbe poi in seguito diretto importanti kolossal come Big Hero 6, Raya e Strange World. A capo del team adibito allo sviluppo visivo venne messo l'art director Paul Felix, una delle punte dello studio, attivo in buona parte dei progetti WDAS dagli anni 90 a oggi.

Ma il colpo da maestro fu mettere l’intero story team sotto la salda guida di Burny Mattinson, una leggenda disneyana, presente allo studio in vari ruoli da almeno mezzo secolo. Mattinson aveva iniziato come animatore proprio negli anni in cui il Pooh originale veniva concepito, e poteva quindi essere la figura ideale per far da ponte tra le due epoche, infondendo alla squadra di sceneggiatori le giuste sensibilità per maneggiare i pupazzi di Milne. Mattinson era inoltre una garanzia di qualità perché oltre che animatore era stato anche un importante storyman negli anni 90, nonché il regista di Basil L’Investigatopo e del capolavoro Mickey’s Christmas Carol. In quell’occasione Burny aveva dimostrato di saper gestire un revival meglio di chiunque altro: gli standard characters come Topolino, Paperino e Pippo erano infatti all’epoca in una situazione analoga a quelli di Pooh, ma Mattinson era riuscito comunque ad attualizzarli, restituendoli al pubblico in una versione brillante e fedele alle fonti originali.

Ventiquattr’ore di Umorismo

Il lavoro sulla storia cominciò non appena Burny Mattinson ricevette l’incarico di frugare fra gli scritti di Milne, in cerca di capitoli non ancora adattati per il grande schermo. Molto materiale era già stato utilizzato, sia ai tempi di Walt, sia durante la lunga parentesi televisiva, per cui fu necessario individuare delle aree vergini su cui poter ancora operare in libertà. La scelta ricadde principalmente sui racconti “nel quale Ih-Oh perde la coda e Pooh la ritrova” e “nel quale Tappo ha una giornata intensa e noi scopriamo cosa fa Christopher Robin la mattina”, a cui si sommarono spunti provenienti da altri capitoli. A dire il vero, le attività mattiniere di Christopher erano già state adeguatamente trattate nel primo malinconico sequel home video, ma si volle comunque tornare sull’argomento, affrontandolo stavolta con un piglio leggero. Dopo aver sottoposto ai vertici alcuni storyboard di prova in bianco e nero, Mattinson ricevette il compito di mescolarli insieme, allo scopo di avere una narrazione unitaria e non più episodica. Questo non fu semplice da ottenere: il Pooh originale era infatti un film antologico, mentre i tentativi da parte dei reparti televisivi di fare normali film di respiro con questi personaggi, avevano spesso incontrato difficoltà, dovuta al limitato orizzonte narrativo.

Alla fine si optò per una narrazione, sì unitaria, ma circoscritta ad una sola giornata. Lasciare che fossero le ore del giorno a scandire i tempi della vicenda funzionò, e diede al film un respiro insolito, quasi teatrale. Il narratore racconta la giornata di Pooh a partire dal risveglio mattutino, a cui segue la ricerca di un po’ di miele per colazione. Si introduce quindi la storyline della coda perduta di Ih-Oh e del contest organizzato dagli altri personaggi per rimpiazzarla. Dopo una ventina di minuti, già si passa ad altro: Christopher Robin va a scuola lasciando un bigliettino sulla porta, i pupazzi lo fraintendono, convincendosi che sia stato portato via da un mostro immaginario chiamato Appresto (Backson) e danno inizio a una scalcinata missione di soccorso. In meno di un’ora l’equivoco viene portato alle sue ridicole conseguenze, e tutti i fili narrativi trovano risoluzione, compresi quelli che erano stati lasciati pendenti all’inizio. La struttura, inizialmente spiazzante, si rivela andando avanti sempre più solida e organica. Inoltre, dopo molti anni, il protagonista torna ad essere l’orsetto titolare. E’ suo il punto di vista prevalente, con la sua limitata comprensione del mondo, i suoi trascurabili problemi e un’incessante fame di miele come unica fonte di conflitto narrativo.

E probabile che la scelta di mantenere il focus su un personaggio semplice come Pooh possa esser stata allenante per gli stessi artisti, aiutandoli a settare il registro, a lavorare per sottrazione e a compensare la mancanza di epicità con quello che è il punto di forza principale dell’opera: l’umorismo. John Lasseter aveva infatti dichiarato più volte come la volontà dello studio fosse quella di produrre un film di Pooh apprezzabile anche da un pubblico adulto, e si capisce bene come la scelta di spingere tanto sul pedale della risata sia stata essenziale, nell'ottica di trovare un linguaggio adatto a tutti. Il film è pieno di guizzi e trovate umoristiche di ogni tipo, ha tempi comici eccellenti e, pur non sconfinando mai nel cinismo, non è privo di qualche sfumatura deliziosamente sinistra: Uffa si dimostra spesso ossessivo e in preda a manie di grandezza, mentre l’amore di Pooh per il miele viene narrato come si trattasse di una tossicodipendenza in piena regola. Inoltre, il gran lavoro fatto sulla comicità trova massima espressione durante la leggendaria scena della trappola, in cui tutti i personaggi rimangono bloccati sul fondo di un burrone e non sanno come uscirne. E’ una sequenza fatta interamente di siparietti paradossali e fulminei scambi di battute, tutta giocata sulla recitazione dei personaggi e sul lavoro degli animatori. Il risultato è da manuale e rappresenta probabilmente la vetta umoristica dell’animazione Disney moderna.

La Riscossa degli Eredi

Mentre un gruppo di giovani talenti realizzava gli storyboard a Burbank sotto la guida di Mattinson, un secondo gruppo di artisti dello sviluppo visivo volò in Inghilterra, per documentarsi sugli ambienti. L’art director Paul Felix visitò le terre intorno a quella che all’epoca era la tenuta dei Milne, soffermandosi a lungo nella Ashton Forest, il corrispettivo reale del Bosco dei Cento Acri, e individuando i luoghi che ispirarono i disegni di Ernest Shepard. Gli artisti studiarono attentamente il modo in cui la luce si rifrangeva nelle diverse ore del giorno, per poter poi riprodurre nel film una simile tavolozza cromatica. E nel risultato finale questo si sente: la direzione artistica di Felix riesce a calare lo spettatore nell’atmosfera di quei luoghi, aggiungendo sfumature assenti nel film originale. Eppure, nell'impianto visivo di Winnie the Pooh fa ritorno un elemento costituente di quei tempi, che di recente era stato ingiustamente messo da parte: la cornice metanarrativa. Qui, ancor più che in passato, il libro è fisicamente un vero e proprio palcoscenico: i personaggi scorazzano in giro per il volume, giocano con le lettere, scivolano tra i paragrafi, saltano tra una pagina e l'altra e all’occorrenza “barano”, rompendo la quarta parete per trarsi d’impaccio.

Ma il cuore del progetto sta tutto nella character animation e nell’utilizzo intelligente di alcuni degli artisti più geniali del settore. Il risultato da loro ottenuto è ammirevole, perfettamente a metà strada tra una rispettosa mimesi con l’originale e una sua reinterpretazione “autoriale”. Tutti gli elementi nuovi si rivelano perfettamente congruenti e una proiezione attendibile di quella che sarebbe stata l’evoluzione del cast, se per tutti questi anni fosse rimasto in mano ai WDAS. La supervisione dell'orsetto protagonista e del suo padroncino si devono a Mark Henn, famoso per il suo lavoro sulle protagoniste femminili disneyane. Pooh era un personaggio difficile da rendere, per via di quel suo perenne equilibrio tra stupidità e tenerezza, che l’aveva reso spesso una zavorra narrativa. Eppure Henn riesce a fare in modo che lo spettatore non lo percepisca mai come un impiccio e riesca invece ad empatizzare con lui per tutta la durata della storia. Un discorso a parte lo merita il nuovo Christopher Robin, che riceve un corposo aggiornamento grafico, degno del Mickey Mouse anni 40: gli occhi a bottoncino spariscono, lasciando il posto ad un taglio grafico più alla Glen Keane, e cambia anche l’abbigliamento, avvicinandosi a quello di un giovane collegiale.

Ad Andreas Deja, padre di alcuni dei più importanti cattivi del rinascimento Disney, fu affidato invece Tigro. Sebbene sulle prime l’animatore non fosse convinto di lavorare al film, l’occasione di poter maneggiare un personaggio del suo mentore Milt Kahl lo convertì presto alla causa. il Tigro di Deja è assolutamente degno del suo predecessore, esuberante nei movimenti e caratterizzato da una linea volutamente sporca, reminescente delle sue origini xerografiche. Tappo fu assegnato ad Eric Goldberg, l’umorista per eccellenza della squadra, il quale ne esasperò volutamente i tratti somatici, lavorando sul suo carattere ansiogeno e dandogli un’aria “alla Richard Nixon”. Randy Haycock (Clayton, Kida, Naveen) si divertì a giocare con il peso del suo personaggio, l’asino Ih-Oh, mostrando tutta la grave lentezza dei suoi movimenti, mentre Bruce Smith (Pacha, Facilier) si occupò di Pimpi e dei due canguri. Infine, il compianto Dale Baer (Yzma, Alameda Slim) ereditò Uffa, che era stato animato dal suo maestro John Lounsbery, aggiungendo alla sua caratterizzazione un inedito barlume di follia. Il citello De Castor, creato ex novo da Disney, la cui esistenza aveva alimentato polemiche con i fan più ortodossi di Milne, è assente, e lo stesso vale per l’efelante Lumpy, tolto di mezzo in quanto apocrifo.

Dai Fratelli Sherman ai Coniugi Lopez

La colonna sonora di Winnie the Pooh è l’ennesimo tassello di un viaggio produttivo all’insegna della mimesi. Alle strumentali troviamo Henry Jackman, collaudato compositore hollywoodiano che da questo momento in poi rivedremo in diversi film Disney, come Ralph Spaccatutto e Big Hero 6. I compositori delle canzoni sono invece i coniugi Robert e Kristen Anderson-Lopez, figure oggi molto note per il loro lavoro su produzioni di punta della Company come Frozen e Wandavision, ma che all’epoca avevano già alle spalle due musical teatrali, Avenue Q e The Book of Mormon, molto apprezzati per la loro carica ironica e dissacrante. Robert Lopez aveva inoltre firmato per Disney le canzoni dell’episodio My Musical, nella bellissima serie televisiva Scrubs.

Il lavoro dei Lopez sul film tenta con successo di replicare lo stile frivolo impostato dai Fratelli Sherman nell'originale: canzoncine allegre, sciocchine e buffe in grado di alleggerire l’atmosfera, dando però agli animatori margine per mettere in scena momenti visivamente meravigliosi. Questo succede principalmente nei due brani immaginari, in cui i personaggi fantasticano, ma in generale tutti i numeri musicali sono davvero di livello altissimo. Le canzoni mostrano un'incredibile varietà stilistica, pur senza mai perdere quel tratto distintivo melodico, mutuato direttamente dagli Sherman.

  • Winnie the Pooh - Ad aprire il film è una reinterpretazione, cantata dall'icona indie Zooey Deschanel, dello storico tema principale composto dagli Sherman. La sequenza stessa è un remix della classica introduzione al Bosco dei Cento Acri vista nell’originale, con tanto di mappa da cui i personaggi prendono vita. Tutto si gioca sui contrasti, e l’effetto del vedere il cast, ora in versione rinnovata, muoversi su uno sfondo ben noto è grandioso. Da notare anche l’aggiunta di Tigro, un tempo assente, che scorrazza vicino alla casa di Kanga, di cui è ospite negli scritti di Milne. Della sua abitazione, vista a più riprese durante la parentesi televisiva, non si fa mai menzione.
  • The Tummy Song - Il primo brano originale del film è la deliziosa canzoncina che Winnie intona appena svegliato per quietare il suo pancino brontolante. L'appetito di Pooh è a sua volta un "personaggio" a sé, il leit motiv che ci porteremo avanti fino alla fine del film. Tanto semplice quanto azzeccata, The Tummy Song riesce a riprodurre le stesse sonorità sciocchine delle filastrocche che nella prima featurette l'orsetto cantava tra sé e sé. E’ un pezzo trascinante, che ci porta dentro la psiche di Pooh, facendoci simpatizzare con il suo bisogno incessante di miele. Già in questa sequenza troviamo i primi virtuosismi metanarrativi, con Pooh che scivola tra le masse di testo per nascondersi dalle api.
  • A Very Important Thing to Do - Cantata nuovamente da Zooey Deschanel, accompagna un bellissimo montaggio in cui i personaggi vengono convocati uno dopo l'altro per trovare una nuova coda a Ih-Oh. Breve e concisa, riprende perfettamente quel tipo di sonorità soavi e rilassanti, tipiche di certe canzoni fuoricampo presenti nel film originale. Inoltre si rivela un modo intelligente per ripresentare al pubblico i vari pupazzi, che qui vengono chiamati a raccolta, ognuno attraverso una gustosissima gag.
  • The Winner Song - Non una sequenza vera e propria, The Winner Song è più che altro uno stacchetto musicale. Viene cantata a più riprese nel corso del film ogni volta che viene nominato un nuovo vincitore del concorso per trovare la coda a Ih-Oh. Pur avendo una bella sonorità, che esplode nel reprise finale, è poco più di un tormentone umoristico.
  • The Backson Song - Probabilmente la sequenza musicale più folle del film. Concepita interamente dal genio di Eric Goldberg, è il numero musicale astratto e dark, nato come contraltare ed erede morale della storica Heffalumps and Woozles. Uffa inizia a spaventare gli altri pupazzi, inventandosi di sana pianta il temibile Appresto (Backson, storpiatura di “back soon”), una sorta di dispettoso energumeno che fa del trollaggio il suo stile di vita. Non è la prima volta che vediamo nel mondo di Pooh i personaggi andare nel panico, alimentando da soli il proprio allarmismo, dopotutto è uno dei tanti tratti infantili di cui Milne si prendeva gioco. Viene da chiedersi però se la sequenza di Goldberg non stia in realtà prendendo di mira la società adulta, con le sue psicosi di massa. Con dei gessetti da lavagna i personaggi danno vita a una carrellata di folli gag, illustrando tutti i problemi della vita, attribuiti scioccamente a questo fantomatico Appresto. Il tutto avviene attraverso una sapiente stilizzazione, reminescente di alcune animazioni Disney anni 50 come Jack and Old Mac o la serie I’m No Fool, in cui l’idea della lavagnetta era centrale, e che Goldberg ha probabilmente interiorizzato. È un pezzo immaginifico e dissacrante, che nel finale sembra virare in una direzione epica… salvo annegare nuovamente nella comicità, quando negli ultimi versi i personaggi salutano Uffa con un “a presto”, lasciandolo solo a rimuginare sull'assonanza col nome del mostro che li ha mandati a stanare.
  • It's Gonna Be Great - Se si esclude un brevissimo reprise di The Wonderful Thing About Tiggers, è questa la canzone che i Lopez affidano a Tigro, nella buffa scena in cui il simpatico pupazzo cerca di trascinare Ih-Oh nel suo delirio. Data la sua esuberanza, per impedirgli di rubare la scena a Pooh come accaduto spesso in passato, il personaggio viene limitato a questa piccola sottotrama in cui tenta di “tigrizzare” il triste asinello. Tigro, con la sua invadenza, riflette la personalità di quei bambini iperattivi che finiscono paradossalmente per rimanere emarginati, e questo aggiunge alla sequenza un sottotesto un po' malinconico. La scena in ogni caso è ottima, graziata da una luce pomeridiana di grande effetto.
  • Everything is Honey - Introdotta da una divertente scenetta in cui vediamo un Pooh completamente in astinenza da miele, è la seconda grande sequenza astratta del film. L’orsetto si ritrova a danzare dentro un'allucinazione utopica in cui tutto quanto è fatto di miele, dagli ambienti alle creature che vi abitano. La canzone è deliziosa, orecchiabile e trascinante, e sebbene non possa competere con le mille folli trovate della Backson Song, rimane uno dei momenti visivamente più appaganti del film.
  • Pooh's Finale - Rappresenta il coronamento della lunga ricerca che aveva tormentato Pooh sin dall’inizio del film. Non una canzone autonoma, bensì un trionfale reprise che mischia insieme The Winner Song e Everything is Honey, creando un bellissimo climax che congeda lo spettatore dal Bosco dei Cento Acri, lasciandolo con il sorriso sulle labbra.
  • So Long - I titoli di coda presentano una terza canzone cantata da Zooey Deschanel, scritta stavolta da lei anziché dai Lopez, mentre a schermo sfilano diversi elementi degni di attenzione. Nella prima parte vediamo una sorta di corrispettivo "reale" della storia del film, con i pupazzi di Christopher Robin messi nelle posizioni più svariate, come se a far viver loro questa storia fosse stato lui sin dal principio. I successivi credits scorrevoli sono poi disseminati di gag animate con i personaggi che fanno ogni tipo di cosa divertente per intrattenere lo spettatore fino all'ultimo minuto. Infine non va dimenticata la bella scena segreta post credits, che ribalta interamente la prospettiva.

Sciocco di un Filmetto?

Il titolo Winnie the Pooh suona per certi versi paradossale, se si pensa che il film è un sequel diretto del film del 77, l’unico del franchise a far parte del canone disneyano. Diventa però appropriato se ci si ricorda che l’originale era in realtà un film di montaggio, per cui si potrebbe dire che sia questo il primo vero lungometraggio WDAS con l’orsetto. E’ un titolo che ha inoltre il sapore di un reboot per il franchise, ma anche di un ritorno alle origini, alla centralità del personaggio di Winnie, che era stata messa in discussione molto tempo prima. Sul piano creativo, la sfida di Lasseter fu certamente vinta in pieno. Non fu solo una vittoria morale per molti artisti, per i quali proseguire quanto fatto dai loro mentori rappresentò una sorta di chiusura del cerchio: Winnie the Pooh fu un vero e proprio trionfo della qualità. Perfettamente calibrato in ogni suo aspetto, questo piccolo film risultò praticamente privo di sbavature: animazioni 2D ai massimi livelli, umorismo intelligente, musica efficace, una straordinaria gestione del cast e una trama semplice ma narrata a regola d’arte. Evidentemente si era trovata una perfetta alchimia tra gli artisti coinvolti, una combinazione di fattori decisamente rara.

Sfortunatamente questo grande risultato in termini artistici non venne in alcun modo sostenuto dalle politiche della Disney Company. Sebbene l’uscita di un trailer malinconico, con la canzone dei Keane Somewhere Only We Know, avesse fatto inizialmente sperare in una strategia molto diversa, all’avvicinarsi dell’uscita nelle sale fu chiaro che quello che i vertici avevano in realtà in mente fosse poco più di un’uscita tecnica. Nessuno ai piani alti aveva mai pensato che questo progetto potesse stare nello stesso scaffale di Aladdin o Rapunzel. Era pur sempre un film di Winnie the Pooh, messo in lavorazione per soddisfare logiche commerciali legate al mercato prescolare: il massimo a cui poteva ambire era quello di essere trattato come un direct to video d’autore. La distribuzione fu dunque atipica. L’uscita in Europa ben tre mesi prima che negli USA fu una mossa senza precedenti. Addirittura in Italia il film venne rilasciato in un numero limitato di cinema, aderenti ad un’iniziativa promozionale, con tanto di biglietti gratis in omaggio con il periodico da edicola sull'orsetto. La finestra di distribuzione fu di sole due settimane, durante le quali venne proiettato in abbinamento allo splendido cortometraggio in animazione tradizionale, The Ballad of Nessie. Un mese dopo, il film era già pronto per l’uscita in DVD.

Winnie the Pooh giunse quindi nelle sale USA quando in altri paesi il film esisteva già in home video, e venne mandato al cinema negli stessi giorni in cui il finale della saga di Harry Potter stava catalizzando ben altre attenzioni. Malgrado questo non si parlò mai di flop: la funzione del film era quella di vivere nel mercato casalingo o attraverso ripetuti passaggi televisivi, per cui la distribuzione in sala andava ritenuta più che altro un’anteprima. La dirigenza si ritenne soddisfatta, ma il film e gli artisti che ci lavorarono si ritrovarono ad essere fortemente sminuiti dall’operazione. L’animazione tradizionale venne nuovamente archiviata, il team si disperse ancora una volta. Il film stesso finì per essere spesso dimenticato, al punto da essere escluso in molte raccolte che avrebbero dovuto contenerlo. Tristemente celebre in tal senso fu la sua assenza all’interno del cofanetto europeo con tutti i classici Disney in DVD, che portò per molti anni a falsare la numerazione dei film WDAS. Paradossalmente, per tornare a rendere Pooh rilevante agli occhi del pubblico toccò aspettare che un altro reparto se ne “impadronisse”. Sarebbe stata l’unità live action qualche anno più tardi a rispolverare il Bosco dei Cento Acri, in occasione dell’uscita del film Christopher Robin (2018) interpretato da un brillante Ewan McGregor, calato nei panni della versione adulta del rampollo di casa Milne.

Revisione del 2 Settembre 2022.

di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica

  • Titolo originale: Winnie The Pooh
  • Anno: 2011
  • Durata:
  • Produzione: Peter Del Vecho, John Lasseter, Craig Sost, Clark Spencer
  • Regia: Stephen Anderson, Don Hall
  • Storia: , , , , , , , ,
  • Basato su: Winnie The Pooh di A.A. Milne, Winnie The Pooh di E.H. Shepard
  • Musica: Kristen Anderson-Lopez, Henry Jackman, Robert Lopez
  • Supervisione dell'Animazione: Dale L. Baer, Andreas Deja, Eric Goldberg, Randy Haycock, Mark Henn, Bruce W. Smith
Nome Ruolo
James Alles Layout
Stephen Anderson Regista; Storia
Kristen Anderson-Lopez Canzoni
Sunny Apinchapong Supervisione Fondali
Rasoul Azadani Supervisione Layout
Ruben Azama Aquino Animazione
Dale L. Baer Animatore principale (Owl)
Doug Ball Fondali
Robert Bennet Effetti d'Animazione
Allen Blyth Effetti d'Animazione
Lorelay Boce Sviluppo Visivo
Gina Bradley Supervisione Tecnica
Cheryl Carasik Scenografia Live Action
Clio Chiang Storia
Alfred "Tops" Cruz Layout
Anthony De Rosa Animazione
Peter J. DeLuca Layout
James DeV. Mansfield Effetti d'Animazione
Andreas Deja Animatore principale (Tigger); Sviluppo Visivo
Peter Del Vecho Produttore
Don Dougherty Storia
Russ Edmonds Animazione
Paul Felix Direzione Artistica
Brian Ferguson Animazione
Mike Gabriel Sviluppo Visivo
Eric Goldberg Animatore principale (Rabbit, Backson)
Maria Dolores Gonzales Supervisione Ink & Paint
Don Hall Regista; Storia
Randy Haycock Animatore principale (Eeyore)
Mark Henley Supervisione Pianificazione Scene
Mark Henn Animatore principale (Winnie The Pooh, Christopher Robin)
Lam Hoang Layout
Kendelle Hoyer Storia
Daniel Hu Layout
Henry Jackman Musica
Kimberly W. Keech Supervisione Tecnica
Lisa Keene Fondali
Brian Kesinger Storia
Shyoon Kim Sviluppo Visivo
Bert Klein Animazione
Alex Kupershmidt Animazione
John Lasseter Produttore Esecutivo
Benoit Jean Claude Le Pennec Layout
Hyun-Min Lee Animazione
Jang Lee Fondali
James Lopez Animazione
Robert Lopez Canzoni
Dan Lund Effetti d'Animazione
Julio Macat Fotografia
Burny Mattinson Supervisione Storia
Michele Mazzano Direzione di Produzione
David "Joey" Mildenberger Effetti d'Animazione
A.A. Milne Storia Originale (Winnie The Pooh)
Nicole Mitchell Storia
Kyle Odermatt Supervisione Effetti Speciali
Vera Pacheco Supervisione Cleanup
Bill Perkins Sviluppo Visivo
Jean-Christophe Pulain Layout
Nik Ranieri Animazione
Dan Read Fondali
Leonard Robledo Fondali
E.H. Shepard Storia Originale (Winnie The Pooh)
Bruce W. Smith Animatore principale (Piglet, Kanga, Roo)
Craig Sost Produttore Associato
Jeremy Spears Storia
Clark Spencer Produttore
Robert J. St. Pierre Layout
George C. Stevens Effetti Speciali Live Action
Patrick M. Sullivan Jr. Direzione Artistica Live Action
Michael Surrey Animazione
Allen Tam Layout
Lucy Tanashian-Gentry Fondali
George P. Villaflor Layout
Franz Visher Animazione
Doug Walker Layout; Sviluppo Visivo
Marlon West Supervisione Effetti Speciali
Jennifer Yuan Layout

Bibliografia

Sul film:

  • Christopher Finch, Winnie The Pooh: A Celebration of the Silly Old Bear (2000: Disney Editions [US]). Updated Edition (2011: Disney Editions [US]).

Fonte:

  • A.A. Milne, E.H. Shepard, Winnie The Pooh (1926: Melthuen & Co. Ltd., London [UK]; E.P. Dutton [US]). Dutton’s Edition Facsimile (2017: Penguin Random House).
  • A.A. Milne, E.H. Shepard, The House At Pooh Corner (1928: Melthuen & Co. Ltd., London [UK]; E.P. Dutton [US]). Dutton’s Edition Facsimile (2018: Penguin Random House).
  • A.A. Milne, E.H. Shepard, When We Were Very Young (1924: Melthuen & Co. Ltd., London [UK]; E.P. Dutton [US]). Dutton’s Edition Facsimile (2020: Penguin Random House).
  • A.A. Milne, E.H. Shepard, Now We Are Six (1927: Melthuen & Co. Ltd., London [UK]). Dutton’s Edition Facsimile (2020: Penguin Random House).
  • A.A. Milne, E.H. Shepard, Winnie The Pooh: The CompleteCollection of Stories and Poems (1994: Egmont [UK]). New Edition (2016: Egmont [UK]).

Eredità:

  • Disney 365 Days With Winnie the Pooh (2019: Dark Horse Comics [US])
  • The Art of Winnie the Pooh (2006: Disney Editions [US])