Winnie The Pooh - Nuove Avventure nel Bosco dei Cento Acri

Walt e i Giocattoli di Christopher

C'era una volta un padre che non si riteneva molto bravo a interagire con suo figlio, il suo nome era Alan Alexander Milne, e il ragazzino si chiamava Christopher Robin. Per aggirare questo problema, il padre decise di comunicare con lui attraverso la parola scritta, inventando racconti che avessero come protagonisti Christopher Robin e i suoi pupazzi di pezza. Milne finì per scriverne abbastanza da riempirci ben due libri: erano storie delicate, poetiche e deliziosamente nonsense, dal momento che erano ambientate in un bosco di fantasia popolato da animali giocattolo che ragionavano come bambini. Erano inoltre illustrate da Ernest Shepard, un disegnatore amico di Milne, dallo stile molto particolare, caratterizzato da un tratto sporco e morbido al tempo stesso, perfettamente adatto a rappresentare dei pupazzi. Tutto questo colpì la fantasia di Walt Disney che negli anni 60 mise al lavoro il suo staff sul lungometraggio episodico intitolato Le Avventure di Winnie the Pooh, che venne però completato solo nel 1977. Il motivo di questo ritardo è presto detto: si tratta di un caso più unico che raro nella filmografia disneyana, dal momento che a metà della lavorazione si preferì suddividere il progetto in tre parti, rilasciandole nei cinema a pochi anni l'una dall'altra, sottoforma di mediometraggi lunghi una ventina di minuti. L'idea di Walt era di fidelizzare progressivamente il pubblico americano, facendogli conoscere per gradi il cast del Bosco dei Cento Acri, salvo poi eventualmente rimontare i tre segmenti in futuro. Cosa che avvenne dopo la sua morte, infatti nel 1977 le tre featurette furono montate insieme e mandate nei cinema, accompagnate da un epilogo realizzato ad hoc: un poetico dialogo tra Christopher e il suo orsetto di pezza che segnava idealmente la fine della spensierata età infantile. A dispetto degli stereotipi che da sempre infangano questa forma d'arte, gli artisti Disney avevano realizzato il loro unico lungometraggio indirizzato principalmente ad un pubblico di bambini, ma perfettamente fruibile anche da un adulto: la pellicola infatti giocava molto sul concetto stesso di infantilismo, prendendosi gioco dei comportamenti ingenui dei personaggi e precipitando a volte nel nonsense più totale. Inoltre non mancavano alcune trovate metanarrative davvero geniali, come le interazioni con lo stesso narratore o la consapevolezza dei personaggi di trovarsi in un libro.
Un Pupazzo allo Sbando

E poi ci fu la deriva. I personaggi ebbero un grandissimo successo, esattamente come aveva previsto Walt, al punto che si abusò di loro. Dopo lo sfavillante esordio infatti, il cast del Bosco dei Cento Acri passò in mano al reparto televisivo, sorto negli anni 80, e da lì in poi cominciò la loro discesa. Nell'arco di due decenni vennero messe in piedi tre serie televisive, prodotti una marea di lungometraggi sia direct to video che cinematografici, per non parlare delle compilation e degli special tv, prodotti di ogni tipologia e qualità che finirono per inflazionare il povero orsetto, al punto tale che il pubblico dimenticò le sue nobili radici. Inizialmente si trattava di prodotti di buona fattura, che un senso ce l'avevano: la prima serie tv, quella in animazione tradizionale, era sicuramente un prodotto curato che interpretava il mondo di Milne con un certo rispetto, ed era molto buono pure il primo sequel direct to video, Alla Ricerca di Christopher Robin che parlava della crescita del padroncino e dello sconvolgimento che questo portava nella vita dei suoi giocattoli. Il picco qualitativo si ebbe con T Come Tigro, prodotto curatissimo sia nell'animazione che nella caratterizzazione dei personaggi, che si meritò pienamente l'uscita nelle sale, e la firma dei fratelli Sherman alla colonna sonora. Ma da lì in poi qualcosa si inceppò: le idee erano finite e lo stesso brand cominciò ad allontanarsi sempre più dallo spirito originario. I DisneyToon Studios, nome che nel frattempo aveva assunto il reparto lungometraggistico della Disney Television, tentavano con sempre meno budget e con soluzioni sempre più maldestre di dare continuità al tutto, ma già Pimpi, Piccolo Grande Eroe, pur raccontando alcuni capitoli non ancora adattati dell'opera di Milne, mostrava una certa fiacchezza di fondo. Da lì alla snaturazione totale il passo fu breve, e questa avvenne con alcune idee tutt'altro che brillanti: la prima fu ripiegare sul personaggio del cangurino Ro. Trattandosi di un bambino, il marketing pensò bene di farlo salire alla ribalta puntando su di lui e mettendo in ombra il resto del cast, nel vano tentativo di favorire l'identificazione da parte dei bambini. Uscì quindi direttamente in home video Ro e la Magia della Primavera, seguito poco tempo dopo da Winnie the Pooh e gli Efelanti nelle sale cinematografiche, dove si pescò a piene mani dalla mitologia del Pooh originale, dando corpo e fattezze al concetto di Efelante... il tutto per dare a Ro un amichetto con cui torturare lo spettatore a suon di melensaggini puerili. Un'altra sciagurata idea fu quella di invadere il mercato home video con strane compilation dalla struttura ibrida: Buon Anno con Winnie Pooh e Il Primo Halloween da Efelante erano infatti composti per due terzi da pessima animazione realizzata ad hoc e per il resto da materiale di repertorio, un modo “furbo” per moltiplicare senza fatica le uscite, piazzando sul mercato lungometraggi fasulli che potessero portare avanti il brand senza fatica. E poi ci fu l'ultimo anello di questa catena, la produzione di I Miei Amici Tigro e Pooh, serie in CGI destinata all'emittente prescolare Disney, nel quale vennero tolti di mezzo personaggi come Uffa e Christopher Robin, rimpiazzati ormai dall'efelante Effy e soprattutto dalla new entry Darby, la nuova bambina del bosco. La serie venne cancellata dopo poco tempo, fortunatamente, e dalla nuova dirigenza arrivò l'input di porre rimedio agli scempi fatti negli ultimi anni riportando in qualche modo alla ribalta il Pooh di un tempo.
A Very Important Film To Do

Questa esigenza di risanamento di un brand devastato coincideva in pieno con le esigenze di John Lasseter, in quel momento impegnato a far rinascere qualitativamente i Walt Disney Animation Studios. La Principessa e il Ranocchio non aveva ottenuto grossi risultati e la scaletta delle uscite andava ripensata, questo aveva causato delle voragini produttive negli anni immediatamente successivi, e bisognava riempirle. La squadra di animatori 2d era stata da poco rimessa insieme e bisognava impedire che si disperdesse di nuovo, per cui serviva un progetto semplice e modesto che potesse tenerla impegnata per un po', stimolandola a dovere. Come secondo progetto in animazione tradizionale, Winnie the Pooh cadeva a fagiolo: il budget richiesto sarebbe stato piuttosto modesto, e l'ok della dirigenza, desiderosa di rilanciare il brand, sarebbe stato cosa certa, per non parlare del fatto che gli animatori della seconda generazione, addestrati dai nine old men, non avevano paradossalmente mai avuto occasione in tutti questi anni di cimentarsi con i personaggi di Milne, da sempre affidati ai reparti televisivi. Il desiderio di proporne una loro reinterpretazione ufficiale, riappropriandosi di tale eredità, era forte, dal momento che molti di loro erano cresciuti adorandoli. Fu quindi una festa per tutti loro l'assegnazione dei vari personaggi: al mitico Andreas Deja toccò infatti riportare in scena Tigro mentre ad Eric Goldberg venne assegnato Tappo. Altri validissimi talenti come Bruce Smith (Pacha, Facilier), Dale Baer (Yzma, Alameda Slim) e Randy Haycock (Clayton, Kida, Naveen) vennero messi al lavoro rispettivamente su Kanga/Ro/Pimpi, Uffa e Ih-Oh, mentre al grande Mark Henn toccò il difficile compito di gestire i protagonisti Christopher Robin e Winnie Pooh. A capo degli sceneggiatori invece venne messo il veterano Burny Mattinson, presente agli studios sin dai tempi del Pooh originale, e famoso per aver diretto quell'immortale capolavoro che era Mickey's Christmas Carol. Mattinson era una garanzia di qualità, visto che aveva dimostrato in quell'occasione una certa esperienza nell'attualizzare personaggi classici da tempo dimenticati, riproponendoli al pubblico in modo brillante e fedele alle fonti originali. Il suo coinvolgimento fu un vero e proprio colpo da maestro per i due registi Stephen Anderson e Don Hall, che avevano già realizzato l'arguto, anche se imperfetto, Meet the Robinsons.
Risate, Non Sbadigli!

Mattinson e la sua crew decisero ben presto di impostare il tutto come un'ipotetica seconda metà del progetto pensato da Walt Disney, mettendo in lavorazione l'adattamento di alcuni capitoli non ancora trasposti dei due libri di Milne. Già col mediometraggio Il Compleanno di Ih-Oh, prodotto da uno studio esterno, e col lungometraggio Pimpi, Piccolo Grande Eroe dei DisneyToon Studios si era provato a completare l'opera di adattamento (anche se nell'ultimo caso con scarsa brillantezza), per cui era rimasto poco materiale su cui lavorare senza cadere in contraddizione: alla fine si decise di adattare un capitolo del primo libro, Nel quale Isaia perde la coda e Puh la ritrova, e uno del secondo, Nel quale Coniglio ha una giornata intensa e noi scopriamo che cosa fa Christopher Robin la mattina, mescolandoli con alcuni spunti tratti da altri due capitoli in cui i personaggi rimangono bloccati in una trappola per Efelanti. A dire il vero, parte di questo materiale aveva fornito l'ispirazione già per Alla Ricerca di Christopher Robin, primo delizioso sequel direct to video di Pooh, dove però era stato utilizzato un registro molto più drammatico. Qui, pur senza voler invalidare nulla di quanto prodotto nella trentennale parentesi televisiva, si è deciso di adottare un approccio molto diverso. La parte iniziale è infatti occupata quasi unicamente dalla trama di Ih-Oh che perde la coda e dal contest organizzato dagli altri pupazzi per rimpiazzargliela. Ma dopo i primi venti minuti Christopher Robin va a scuola, lasciando un bigliettino sulla porta, e Uffa lo fraintende, raccontando a tutti che il ragazzino è stato rapito da un mostro immaginario chiamato Appresto (Backson). La storia vira quindi sul tentativo di tendere una trappola a questo mostro e salvare così Christopher dalle sue grinfie, senza dimenticare però la sottotrama parallela di Ih-Oh, che si ricongiungerà solo alla fine con la storia principale. Perché, ebbene sì, a differenza del Classico originale, strutturato come un'antologia di episodi, si è voluto qui combinare assieme le varie storie, nell'ottica di ottenere un normale lungometraggio a narrazione unitaria. La stessa scelta era stata compiuta più e più volte dai DisneyToon Studios che però molto raramente erano stati in grado di raccontare qualcosa di abbastanza interessante per più di un'ora, cadendo troppo spesso nella noia. Ma Lasseter, Mattinson e soci avevano intenzione di sfatare una volta per tutte la leggenda secondo cui Pooh potesse essere fruito esclusivamente da un pubblico infantile. L'obiettivo - come da dichiarazioni dello stesso Lasseter – era realizzare un film che potesse essere visto con molto divertimento anche dagli adulti. Per far questo non c'era che una strada: imbottire il lungometraggio di guizzi e trovate di ogni tipo. Ecco quindi tornare in auge la metanarrazione del Classico originale, che era via via scomparsa nel corso degli anni: i personaggi scorazzano nuovamente in giro per il libro, giocano con le parole, scivolano tra i paragrafi, saltano tra una pagina e l'altra e usano questi trucchetti per “barare” traendosi d'impaccio, all'occorrenza. Questo genere di cose spiazza e colpisce lo spettatore adulto sempre e comunque, tenendo ben desta l'attenzione. Un altro espediente utilizzato per rendere universalmente interessanti le vicende è stato quello di riempire la pellicola con carrettate di umorismo. I personaggi in questione sono infatti pupazzi animati dalla mente di un bambino, del quale conservano la logica un po' ballerina e una certa ingenuità di fondo: in altre parole chi più, chi meno, sono quasi tutti degli idioti, e il narratore questo lo sa e lo mette in evidenza in più occasioni. Quindi, tra risate dovute ai continui svarioni dei personaggi, e moti di stupore dovuti ad un setting a metà strada tra il boscoso e l'astratto, il film racconta la sua semplice storia in poco più di un'ora. Bastano questi accorgimenti per poter dire che Lasseter ha vinto la sfida? Sì. Pur nascendo come film minore, più modesto e meno pretenzioso del solito, questo cinquantunesimo Classico Disney è, qualitativamente parlando, il migliore da anni a questa parte. A differenza di Rapunzel o La Principessa e il Ranocchio, stupendi ma non privi di qualche sbavatura, Winnie the Pooh sfiora la perfezione: le animazioni 2d superano in qualità quelle di Tiana, lo humor è qualcosa di sopraffino e veramente intelligente, le canzoni pure, per non parlare dell'interpretazione dei personaggi e della sceneggiatura che riesce a valorizzare una trama semplicissima, ma narrata a regola d'arte con una narrazione pulitissima e ritmata in modo magistrale. Insomma, evidentemente si è trovata l'alchimia giusta tra personaggi, sceneggiatori, registi e animatori, ed è alquanto strano che questa combinazione di fattori si sia verificata proprio in occasione di un filmetto tanto sottovalutato.
Personaggi in Grande Spolvero

Uno dei meriti principali del lungometraggio in questione è la gestione dei personaggi, a cominciare dal protagonista. Il titolo originale (semplicemente Winnie the Pooh) era stato molto chiaro in merito: si trattava di una sorta di reboot per il brand, di un ritorno alle origini, ma soprattutto di un ritorno alla centralità dell'orsetto che era stata messa in discussione già a partire dal terzo segmento del Classico originale. Da lì in poi, nelle serie tv e nei lungometraggi Toon Studios erano sempre stati i comprimari a condurre l'azione, mentre Pooh era sempre stato solo un povero scemo, un impiccio quasi, a cui far dire un paio di frasi stupide, giusto per ricordarne allo spettatore l'esistenza. Non che in questo film l'orsetto sia meno demente, anzi, lo è più che mai, ma la sceneggiatura e il fuoriclasse Mark Henn fanno in modo che lo spettatore si immedesimi in lui, simpatizzi per Winnie il più possibile lungo tutta la durata della storia. La prima cosa che succede è che il miele finisce, cosa che manda Pooh in crisi: per tutto il film, qualsiasi cosa avvenga intorno a lui non ci si dimentica mai di questo particolare, e seguiamo quindi il tutto dal punto di vista di un Pooh in astinenza, con brividi, visioni e gag sempre più divertenti, che esplodono nella magnifica sequenza astratta in cui sogna che ogni cosa sia fatta di miele. È un Pooh stupido, istintivo, quasi bestiale, ma nel contempo con dei tocchi di genialità da far invidia a Pippo, e che più di una volta risolve inconsapevolmente la situazione. E il tutto è gestito così bene che col proseguir della storia ci si ritrova a parteggiare per lui, al punto che, quando alla fine vince la sua dipendenza e viene ricompensato, lo spettatore stesso prova una sincera soddisfazione. Tutti gli elementi che nella precedente gestione del personaggio avrebbero annoiato mortalmente vengono qui rielaborati al meglio, intrattenendo lo spettatore il più possibile. Non meno riusciti sono i meravigliosi fondali, che presentano una scala cromatica davvero sbalorditiva (con alcune volute sporcizie che rimandano alla xerografia dell'originale), e tutti gli altri personaggi, come il Tigro di Deja, graficamente mirabolante, esuberante come sempre ma non troppo invasivo, il Tappo di Goldberg, ansioso e stressato ma parecchio ingenuo, o l'Ih-Oh di Haycock, qui doppiato da Bud Luckey, mito Pixariano e regista dell'Agnello Rimbalzello. L'approccio che questi artisti immensi hanno avuto con questi bei personaggi è veramente ammirevole, perfettamente a metà strada tra la completa mimesi con l'originale e una reinterpretazione personale e autoriale, capace di infondere del proprio, aggiornando al nuovo millennio il cast, ma con fedeltà e rispetto. L'efelante Effy è chiaramente assente, ed è stato quindi ridimensionato il ruolo di Ro e di conseguenza quello di Kanga, riportando il duo di canguri al loro ruolo originario. Un po' meno bello che dal film sia assente il personaggio di De Castor, presente sia nel Classico originale che nella serie televisiva (dove aveva un grande spazio), ma era una cosa intuibile, dal momento che era sparito da anni per problemi con gli eredi di Milne che non gradivano che fosse stato aggiunto un personaggio così americano nel Bosco dei Cento Acri. Un ritorno più che gradito è invece quello di Uffa, messo da parte completamente negli ultimi anni (era assente sia negli ultimi film che nella serie CGI) e qui in grande spolvero, animato in maniera magistrale da Dale Baer, e caratterizzato da una spocchia e un'idiozia davvero notevole. Uffa e Pimpi sono inoltre protagonisti di alcuni momenti assolutamente esilaranti del film, come la magnifica scena in cui tutti i personaggi finiscono dentro un buco e non sanno come uscirne. Discorso a parte merita la reinterpretazione di Christopher Robin di Henn, che ha avuto il coraggio di cambiarne il modello aggiornandogli gli occhi un po' come avvenne a Topolino negli anni 40, suggerendo che Christopher sia leggermente cresciuto. Alla fine infatti si parla di anno scolastico che dopo l'estate ricomincia, non certo di primo giorno di scuola, facendo intuire che sia passato parecchio tempo, senza andare quindi in conflitto con Alla Ricerca di Christopher Robin. Certo, questa rilettura allegra della situazione è assolutamente priva di quell'angoscia poetica degna di Toy Story 3 di cui era intriso quel primo direct to video, e magari anche in contrasto con la malinconia che traspariva dal trailer (con la canzone dei Keane, Somewhere Only We Know), ma di certo se si voleva proporre Pooh al grande pubblico nella situazione attuale era l'umorismo brillante la strada giusta. Ed è stata percorsa.
Dai Fratelli Sherman ai Coniugi Lopez

Un altro dei grandissimi pregi di questo film è la colonna sonora. Certo venire dopo Alan Menken è una bella gatta da pelare, ma Pooh gioca in un altro campo, che è quello della canzoncina sciocca ma buffa. Era questo lo stile che i fratelli Sherman avevano creato negli anni 60, quando si misero all'opera sulla colonna sonora di Winnie. I fratelli Sherman per ragioni di età non potevano tornare (benché un decennio prima l'avessero fatto per T Come Tigro) e negli ultimi anni anche sotto il profilo musicale l'epopea dell'orsetto era scaduta alquanto, con canzoni brutte e melense. Non sempre cattivi lavori ovviamente (si ricorda la parentesi Carly Simon che in Pimpi e negli Efelanti aveva composto qualche bel brano), ma lo stile era sempre molto differente dall'originale, dal quale ci si stava allontanando sempre più. Per questo ritorno alla classicità sono stati invece reclutati Henry Jackman per gli score, e per le canzoni i coniugi Robert e Kristen Anderson-Lopez, apprezzati compositori di musical teatrali (Avenue Q, The Book of Mormon) che per Disney avevano già lavorato all'episodio musical di Scrubs (My Musical), e che successivamente si sarebbero occupati dell'indimenticabile Frozen. La scelta si è rivelata azzeccatissima: le canzoni passano dal tenero al demenziale, dall'allegro al cupo senza mai perdere quel tratto distintivo leggero e melodico mutuato direttamente dai fratelli Sherman. La mimesi con la colonna sonora del classico originale è pressocché perfetta, e questo significa che anche sotto questo profilo la sfida è stata vinta.
- Winnie the Pooh - Ad aprire il film è una reinterpretazione, cantata dall'icona indie Zooey Deschanel, dello storico tema principale composto dagli Sherman. La sequenza descritta è ovviamente la presentazione del Bosco dei Cento Acri, che avviene sulle pagine del libro con lo stesso stile dell'originale. Ed è proprio un bell'effetto vedere muoversi con un'impeccabile fluidità un Christopher rimesso a nuovo su sfondi tanto stilizzati e storici. Notevole anche l'aggiunta di Tigro che scorazza vicino alla casa di Kanga, esattamente come nel libro, dove è perennamente suo ospite (ignorando ma non contraddicendo l'esistenza della sua casa, vista dalla serie tv in poi).
- The Tummy Song - Il primo brano originale è la deliziosa canzoncina che Winnie intona appena svegliato per quietare il suo pancino brontolante, che è a sua volta un personaggio a sé, il leit motiv che ci porteremo avanti fino alla fine del film. Ed è uno spettacolo, tanto semplice quanto azzeccata, riesce a riportare in vita le stesse sonorità sciocchine che nella sua prima featurette l'orsetto intonava a sé stesso quando faceva ginnastica per farsi venir fame o quando si arrampicava sull'albero in cerca di miele. Eppure è trascinante, e riesce nel contempo a portarci dentro la psiche di Pooh e farci simpatizzare con il suo bisogno incessante di miele, non rinunciando a farci vedere i primi virtuosismi metanarrativi con Pooh che scivola tra le masse di testo per nascondersi dalle api.
- A Very Important Thing to Do - È una breve e simpatica canzone fuoricampo intonata nuovamente da Zooey Deschanel, che ci mostra un bellissimo montaggio in cui i personaggi vengono convocati uno dopo l'altro per trovare una nuova coda a Ih-Oh. Riprende perfettamente quel tipo di sonorità soavi e rilassanti, tipiche di certi brani fuoricampo del Classico originale. Inoltre è una perfetta sequenza per introdurre i personaggi, che vengono chiamati a raccolta, ognuno con una gustosissima gag.
- The Winner Song - Viene cantata al termine del contest per trovare la coda a Ih-Oh, e si tratta del motivetto che viene ripetuto più volte nel corso del film per premiare questo o quel personaggio, a mo' di tormentone sciocchino.
- The Backson Song - Genio puro. È la sequenza cupa e astratta, totalmente concepita da quel folle di Eric Goldberg, per far da erede morale alla storica Heffalumps and Woozles, pur con uno stile grafico del tutto diverso. Uffa spaventa tutto il suo codazzo di amici inventandosi il temibile Backson, storpiatura di “back soon”, qui da noi tradotto efficacemente come Appresto, una sorta di dispettoso energumeno che fa del trollaggio il suo stile di vita. Ovviamente ci si prende gioco dell'allarmismo infantile, che da sempre in Winnie Pooh viene messo in burletta, mostrando i personaggi autoilludersi a proposito di questa o quella minaccia, ma per come le cose sono gestite viene da chiedersi se non si stia parodizzando piuttosto la società adulta con le sue psicosi di massa. Con dei gessetti da lavagna i personaggi danno vita alla sequenza più stilizzata del film, illustrando tutti i problemi della vita, attribuiti scioccamente a questo fantomatico Appresto. È possibile che Goldberg si sia ispirato alle stilizzazioni viste nel corto Jack and Old Mac e soprattutto nella serie del grillo I'm No Fool in cui l'idea della lavagnetta era centrale. È un pezzo immaginifico, mirabolante ma nel contempo assolutamente ironico, con una punta di epicità verso la fine che annega nuovamente nella comicità totale, quando negli ultimi versi i personaggi salutano Uffa con un “a presto” lasciandolo lì a riflettere sull'assonanza con il mostrone da lui immaginato. È sicuramente il punto più alto, quello in cui i Lopez hanno infuso tutto il loro spirito dissacrante.
- It's Gonna Be Great - Anche Tigro ha una canzone, oltre ad un breve reprise di The Wonderful Thing About Tiggers, in cui cerca di tigrizzare Ih-Oh, assolutamente divertente come scena (e debitrice di alcune tematiche di T Come Tigro), anche se porta a chiedersi se Tigro con la sua esuberanza non rifletta in qualche modo la personalità di quei bambini iperattivi che finiscono paradossalmente per rimanere emarginati. Ma probabilmente Tigro in questo film interagisce poco col resto della comitiva per impedirgli di rubare la scena a tutti, come avvenuto negli anni passati, quando era sempre al centro della scena.
- Everything is Honey - È la seconda grande sequenza astratta, quella in cui Pooh, completamente in astinenza da miele, inizia ad avere visioni sempre più disturbanti, a sentire i suoi amici parlare solo di miele (e l'effetto è divertentissimo) e finisce dentro un'allucinazione utopica in cui tutto quanto è fatto di miele: la canzone è deliziosamente orecchiabile e trascinante, anche se visivamente non può competere con le mille trovate della scena dell'Appresto.
- Pooh's Finale - Al coronamento della ricerca di Pooh non corrisponde una vera e propria canzone, bensì un trionfale reprise che mischia insieme The Winner Song e Everything is Honey, creando un climax bellissimo che congeda il Bosco dei Cento Acri, lasciando allo spettatore il sorriso sulle labbra.
- So Long - I titoli di coda sono un po' un discorso a parte, visto che presentano questa terza canzone cantata da Zooey Deschanel, mentre sullo schermo scorrono varie chicche. Dapprima vediamo la versione live action di ciò che è veramente accaduto durante il film, cioé i pupazzi di Christopher Robin messi nelle posizioni più svariate per scimmiottare gli accadimenti del film, come se a muoverli fosse stato da sempre un bambino. Seguono i credits scorrevoli, disseminati di gag animate coi personaggi che fanno ogni tipo di cosa divertente per intrattenere lo spettatore fino all'ultimo minuto, che ci regala una scena post credits veramente esilarante.
Sciocco di un Filmetto?

Insomma un film straordinario, che ci mostra animazione, sceneggiatura, musica e umorismo a livelli davvero eccelsi. Ma un compromesso resta sempre un compromesso, e di certo l'ok a questo film non è stato dato per far divertire Andreas Deja e soci sui personaggi creati dai loro maestri. Stiamo parlando di un film di Winnie Pooh, e al marketing non importa quanto sia straordinario che a metterci la firma siano stati i WDAS. Potrà anche essere un capolavoro di virtuosismi, potrà aver ritardato la morte dell'animazione tradizionale, ma l'unico motivo per cui la Disney l'ha finanziato è quello di utilizzarlo come rilancio per il brand, e questo ha provocato una distribuzione assai atipica che nulla ha a che spartire con i Classici Disney più tradizionali. Già il fatto che sia stato proiettato in Europa ben tre mesi prima che negli USA è una cosa senza precedente alcuno, mentre il fatto che in Italia sia rimasto in sala per sole due settimane, e in un numero limitatissimo di cinema aderenti all'iniziativa promozionale (con tanto di biglietti gratis distribuiti con la rivista omonima), salvo poi esser buttato sul mercato home video (e solo in dvd, non in blu-ray) poco più di un mese dopo, fa ben capire come si sia trattata di una microdistribuzione. Anzi, di un'anteprima nelle sale riservata a poche famiglie elette, per un prodotto che svolgerà la sua funzione solo in home video, o a suon di passaggi televisivi su Disney Junior. Winnie the Pooh verrà quindi ricordato come una sorta di direct to video d'autore, cosa molto svilente, anche perché, oltre ad averlo fatto passare inosservato agli occhi del grande pubblico, che continuerà in questo modo ad avere un'idea dell'orsetto alquanto pregiudiziosa, si è riusciti a lisciare completamente anche il fandom disneyano, che ignora che tra Rapunzel e Ralph Spaccatutto si celi questo piccolo grande film.


di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica
- Titolo originale: Winnie The Pooh
- Anno: 2011
- Durata:
Credits
Nome | Ruolo |
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