Baymax!

La Prima Serie

Nel dicembre del 2020 una Disney Company visibilmente destabilizzata dalla pandemia decide di rendere partecipe tutto il mondo di ciò che ha in serbo per l’avvenire. L’evento trasmesso in livestreaming viene chiamato Investor Day: sebbene serva soprattutto a rassicurare azionisti e investitori sulla buona salute della nuova piattaforma Disney+, viene ugualmente aperto al pubblico così da dargli una certa risonanza mediatica. Il nuovo CEO Bob Chapek fa sfilare trailer e annunci di ogni tipo, rimpolpando la scaletta produttiva di ogni divisione in modo decisamente aggressivo. Eppure in quel mare di proposte sono i Walt Disney Animation Studios di Jennifer Lee a spiccare, annunciando il loro ingresso nel mondo delle serie televisive. Si tratta di una mossa a dir poco epocale, in una Company che fino a quel momento aveva affidato questo genere di cose a divisioni meno prestigiose.

Se etichette come DisneyToon Studios e Disney Television Animation avevano sfornato materiale derivativo per decenni, mantenendo sempre un basso budget e uno standard qualitativo televisivo, con questo annuncio le cose cambiano. Dopotutto Disney+ si sta rivelando sempre più un fertile terreno di sperimentazione anche per Pixar, Marvel e Lucasfilm, contribuendo ad ridurre l’annosa distanza tra grande e piccolo schermo. Neanche a farlo a posta, il primo fra questi progetti è Baymax!, ispirato a quel Big Hero 6 da cui era stata tratta pochi anni prima una modesta serie della Disney Television. E’ l’occasione per i WDAS di riprendersi il maltolto, realizzando un prodotto che serva a far capire la differenza qualitativa con la serie citata e che funga anche da vero e proprio manifesto programmatico dei WDAS seriali.

Pazienti in Denial

A proporre l’idea per Baymax! fu il regista stesso del primo Big Hero 6, Don Hall, il quale aveva in mente una serie dal tono leggero in cui il bianco protagonista si ritrovava ad avere a che fare con una serie di persone comuni, riluttanti a farsi curare da lui. La componente supereroistica del film originale sarebbe stata volutamente tralasciata, focalizzandosi sull’aspetto che funzionava di più, ovvero lo stesso Baymax e la sua vocazione sanitaria. L’arrivo della sceneggiatrice Cirocco Dunlap diede al progetto una sfumatura più drammatica, avvicinandolo al registro del film di partenza: il rifiuto della terapia avrebbe avuto per i diversi personaggi delle ragioni più profonde, che il candore di Baymax avrebbe aiutato a portare alla luce. Il comparto visivo avrebbe attinto chiaramente al film originale, sia pur con qualche necessario aggiornamento, mentre alla regia di tre episodi sarebbe stato messo il collaudato Dean Wellins, lasciando gli altri tre ad artisti di nuova generazione.

Il risultato di questa prima escursione in campo seriale furono sei episodi lunghi meno di una decina di minuti, un formato insolito sia per i WDAS che per lo standard delle serie televisive coeve. Si potrebbe addirittura obiettare che questi sei segmenti siano così diversi da una normale collezione di cortometraggi. Gli sketch di Olaf, quelli di Pippo, gli ShortCircuit e persino alcuni materiali pixariani presentati in piattaforma nei primi due anni di esistenza di Disney+ erano stati dopotutto presentati come serie, pur non essendolo davvero. Si tratta di distinzioni molto labili, tuttavia Baymax! si distingue da queste per durata e respiro. Ma soprattutto, pur presentando un set di storie semplici e autoconclusive, le collega con un filo rosso invisibile che sarà evidente solo alla fine.

1. Cass (Dean Wellins). Sebbene per errore Disney+ inverta i primi due episodi nelle prime ore di trasmissione, ben presto ci si accorge di come Cass rappresenti un inizio ideale per la serie. Al centro dell’episodio c’è infatti un personaggio già conosciuto nel film originale, la zia adottiva dei fratelli Hamada, perfetta per reintrodurre lo spettatore al mondo di San Fransokyo. I primi momenti sono a dir poco opulenti sotto il profilo visivo: Cass serve i clienti della sua caffetteria come in una danza e la telecamera la segue concedendosi inquadrature insolite e ricercate. L’episodio è una deliziosa parabola sulla fiducia e la coscienza dei propri limiti, e riesce a dare a Cass un grado di approfondimento che nel film originale non aveva. Si segnala anche una breve scena post credits in cui torna in scena Hiro: ogni episodio da qui in poi ne avrà una e andando avanti la cosa diventerà più di una semplice gag.

2. Kiko (Dean Wellins). Il secondo episodio, sempre diretto da Wellins, ricorda per certi versi il pixariano Up. L’intrusione di Baymax nella vita di un’anziana signora dai tratti orientali, con la scusa di farle vincere la sua presunta paura del nuoto serba momenti veramente divertenti, e un finale dal retrogusto dolce e malinconico. Si inizia a capire il potenziale del progetto, non un semplice spinoff derivativo ma uno spaccato di umanità variegato e raccontato con gran sensibilità.

3. Sofia (Lissa Treiman). Primo episodio dello stock a non esser diretto da Wellins, Sofia sembra portare momentaneamente la serie su un binario già percorso dalla televisione disneyana per decenni. Ci si ritrova nel mondo preadolescenziale, assumendo il punto di vista “asettico” di Baymax che accudisce una ragazzina alle prese con il suo primo ciclo mestruale. La tematica è quasi inedita, e raccontata con grande attenzione e sensibilità, giocando sul contrasto tra l’imbarazzo di Sofia e l’atteggiamento flemmatico e un po’ autistico di Baymax. La sequenza di danza al talent show è davvero riuscita dal punto di vista coreografico e dell’animazione, e persino la post credits si fa notare: Hiro al pc si accorge che dietro di sé Baymax gioca con lo yo-yo non visto e sorride tra sé e sé. La comunicazione avviene a un livello rigorosamente non verbale, solo attraverso il movimento delle pupille e le espressioni facciali: l’illusione della vita è totale.

4. Mbita (Dan Abraham). Essere prigionieri della propria zona di comfort e superare la paura del cambiamento sono le tematiche di questo quarto episodio, che vede l’arrivo alla regia di Dan Abraham, già conosciuto per il suo lavoro su alcuni sketch di Olaf e futuro regista di Once Upon a Studio. Tutto comincia quando il venditore di zuppa di pesce Mbita sviluppa all’improvviso un’allergia all’ingrediente principale della sua attività. In pochi minuti Dan Abraham riesce a condensare davvero tante cose: c’è una simpatica sequenza musicale in cui Libiamo ne’ Lieti Calici di Giuseppe Verdi accompagna il lavoro di Mbita, e una fuga spericolata tra le strade di San Fransokyo per sfuggire alle cure di Baymax. Non c’è solo umorismo, lo spettatore riesce a percepire tutto lo sconcerto, il panico e il rifiuto che può coglierci di fronte a un cambiamento improvviso e non voluto.

5. Yachi (Mark Kennedy). Sebbene il quinto episodio costituisca un debutto alla regia per Mark Kennedy, l’artista è in realtà un veterano degli studios, attivo come animatore e storyman sin dai primissimi anni 90. Forse è anche per questo che il segmento trasuda tradizione disneyana da ogni fotogramma: la scelta di fare del quinto paziente un gatto riporta l’attenzione su uno degli storici cavalli di battaglia WDAS, ovvero il regno animale con la sua recitazione fortemente pantomimica. Si tenta un tipo di narrazione più intimista, fatta di silenzi e un pizzico di slapstick, mentre ad aumentare l’atmosfera sono le luci e la palette cromatica decisamente più calda del solito, dato che tra gli artisti dello sviluppo visivo fa il suo ritorno il grande Paul Felix. Un ultimo colpo di coda lo costituisce il finale: l’episodio non è davvero autoconclusivo, e termina con un cliffhanger, svelando un tipo di costruzione narrativa più organica del previsto.

6. Baymax (Dean Wellins). Per l’episodio finale torna Dean Wellins, il regista principale del team. L’idea di far convergere quanto visto in precedenza in una storia conclusiva potrebbe apparire una scelta ovvia e scontata, ma al momento di fruirne la cosa riesce ad apparire inaspettata. Ancora più azzeccata è l’idea che il paziente in pericolo stavolta sia proprio Baymax, e che i personaggi dei precedenti episodi si facciano in quattro per metterlo in salvo: un rovesciamento intelligente che arricchisce l’arco narrativo di ognuno di loro. A condurre il gruppo è però il giovane protagonista di Big Hero 6, quell’Hiro Hamada che finora era stato relegato alle post credits e che torna adesso in primo piano, portando con se i nanobot che aveva inventato nel film originale. Nella sua semplicità, il sesto episodio dona un significato preciso all’intera serie, rendendola una bella parabola sulla gentilezza e l’altruismo, valori raccontati con un approccio arguto e non melenso.

L’Anima Giusta

Tirando le somme, si può sicuramente dire che Baymax! rappresenti un inizio assolutamente promettente per la dimensione seriale dei WDAS. L’idea di costruire un simile approfondimento su un personaggio che ha ancora così tanto da dare è innegabilmente buona, come anche intelligente è la scelta di lasciar completamente da parte qualsiasi riferimento alla componente supereroistica, punto debole dell’originale Big Hero 6. Il cuore della storia risiedeva dopotutto nel rapporto assistenziale tra Baymax e Hiro, e questo aspetto è stato capito e ulteriormente approfondito. Il bianco robot infermiere si conferma ad oggi uno dei personaggi più riusciti del canone disneyano, perfettamente in equilibrio tra umorismo e malinconia, un po’ come un moderno Winnie the Pooh. Baymax non si esprime solo con quelle sue frasi asettiche così divertenti da sentire, ma anche attraverso i silenzi, le posture, i movimenti artificiosi che lo fanno sembrare costantemente fuori registro. Ma è grazie a questa sua costante alienazione che si creano quelle voragini comunicative che spingono i suoi pazienti a fermarsi un momento e rivedere le proprie posizioni.

La serie venne caricata su Disney+ nella sua interezza il 29 giugno del 2022. Non fu l’unica, dato che pochi mesi dopo ne sarebbe già uscita un’altra, ovvero Zootopia+, anch’essa di sei episodi, tutti mirabilmente realizzati ai WDAS. Il 2022 sarebbe stato un anno decisamente bizzarro per lo studio, impegnato a produrre una quantità inedita di contenuti di buon livello per nutrire una piattaforma sempre più affamata. Un momento sicuramente prolifico ma non destinato a durare: il modello produttivo incoraggiato da Bob Chapek sarebbe presto entrato in crisi, portando alla sua deposizione, e addirittura al pesante flop di Strange World, 62° lungometraggio dello studio. Le diverse problematiche sofferte dalla Disney Company l’anno successivo, tra scioperi e cambi al vertice, avrebbero presto portato anche i WDAS a ridurre di netto la mole di contenuto prevista, dilatando nel tempo la loro scaletta di uscite.

Scheda pubblicata il 13 Novembre 2023.

di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica

  • Titolo originale: Baymax!
  • Anno: 2022
  • Durata:
  • Regia: Dan Abraham, Mark Kennedy, Lissa Treiman, Dean Wellins
Nome Ruolo
Dan Abraham Regista
Mark Kennedy Regista
Lissa Treiman Regista
Dean Wellins Regista