Ralph Spaccatutto

Sono un Film sui Videogiochi, Ma Non Significa che Io Sia Cattivo!

All'inizio pensarono a Joe Jump, che divenne in seguito Reboot Ralph e infine Wreck-It Ralph: la volontà di realizzare un lungometraggio animato che esplorasse il mondo dei videogiochi c'era da tempo ed era forte, molto forte. D'altronde avrebbe potuto essere una grossa, grossissima opportunità. La Pixar sul mondo dei giocattoli ci aveva costruito una fortuna, come del resto era avvenuto con tutti quei film animati che trattavano di “società parallele”. La trilogia di Toy Story aveva inoltre avuto tanto successo anche perché andava a scavare direttamente nelle memorie di ognuno di noi. Coi videogiochi sarebbe potuto essere lo stesso, anzi meglio. Si trattava infatti di un argomento ancora poco esplorato da Hollywood, e raramente in modo soddisfacente. C'era campo libero insomma. Inoltre per sua stessa natura, un film del genere si sarebbe potuto affacciare su scenari sempre differenti e suggestivi, non limitandosi ad una sola ambientazione, ma affascinando lo spettatore con trovate sempre diverse. Senza contare il fatto che si sarebbe potuto ripetere l'esperimento di Roger Rabbit, riuscendo ad ottenere i diritti di alcune vecchie glorie videoludiche che avrebbero catturato l'attenzione anche della generazione dei neoquarantenni, affezionati ai classicissimi cabinati da bar della loro infanzia. Sarebbe potuto essere uno dei più grossi colpacci della storia dei Classici Disney, ma bisognava che il film mantenesse le sue promesse tanto raffinate, sfoggiando una regia e uno humor così brillanti e intelligenti da stupire il pubblico. Ed è qui che entrò in gioco Rich Moore. Proveniente dall'officina di Matt Groening (e prima ancora dallo stesso CalArts!), Moore aveva realizzato ottimi episodi dei Simpson, ma soprattutto era l'uomo dietro ad alcuni fra i più grandi capolavori di Futurama. Gioielli come Cuore di Cane, Il Quadrifoglio o Il Nonno di sé Stesso li dobbiamo a lui, e considerando la sua innata abilità a mixare umorismo e sentimenti, poteva essere l'uomo giusto per trasformare il progetto in realtà. Senza contare poi che si trattava dello stesso identico percorso professionale dell'incredibile Brad Bird, che in Pixar aveva dato il meglio del meglio. Moore arrivò in Disney poco prima della terza stesura della storia, per ricreare il tutto a modo suo, senza alcuna limitazione creativa da parte di Lasseter, il quale si fidava ciecamente della sua bravura e del suo stile personale. D'altra parte fu Moore in primis a piegare il suo talento alle regole della narrazione disneyana, cercando di mettere la sua verve al servizio dell'opera e non viceversa.
I presupposti per un bel film c'erano tutti, eppure in questi casi i peggiori nemici della creatività sono proprio coloro che se ne professano amanti. Molti furono i sedicenti fan Disney che non appena seppero cosa i WDAS avessero in serbo, se ne disinteressarono, con parole anche aspre. Il pregiudizio era diffuso: in primis per il mondo dei videogiochi, settore tanto amato dalle nuove generazioni, quanto criticato e visto tuttora con sospetto dai benpensanti, scettici nel riconoscer loro un qualche valore artistico. Poi c'era il panico da imperialismo pixariano: molti si spaventarono nel constatare come la Disney soffrisse di sudditanza psicologica nei confronti della Pixar, al punto di piegarsi allo stile di Emeryville. Pochi sapevano che l'intero cinema Pixar era basato proprio su regole e spunti a loro volta ripresi dalla golden age dell'animazione disneyana e che l'idea delle società parallele alla nostra non nasceva con Toy Story ma con Silly Symphony quali Woodland Café o Music Land. Ralph venne superficialmente visto come un tentativo di imitare la Pixar, o in alcuni casi scambiato direttamente per il nuovo film della Lampada, arrivato proprio nell'anno in cui da Emeryville usciva invece un film apparentemente disneyano come Brave.
Infine la presenza stessa di un regista esterno, proveniente proprio dall'irriverente ambiente di Groening, non fece che alimentare le voci di una Disney ormai completamente snaturata, bisognosa di ricorrere a modelli e filosofie artistiche opposte alla propria pur di reinventarsi e fare cassa. Insomma, gira e rigira, si ritornava sempre allo stesso concetto: la colpa di Ralph era quella di non essere una fiaba, di non essere un musical, di non essere in 2D, di non contenere principesse. Ralph non era un Classico Anni 90, e forse era questo il più grosso dei suoi crimini.
Fortunatamente il risultato finale è assolutamente positivo. Non sono state quindi l'ignoranza, la miopia e la superficialità a spuntarla, bensì la qualità e la voglia di guardare avanti senza dimenticare cosa c'è indietro. Ha vinto la vera disneyanità, un concetto molto più nobile di quello predicato dalla frangia più bigotta, composta da fan legati unicamente a ciò che la Disney produceva ai tempi della propria infanzia.
Virtuosismi Narrativi

Cominciamo dalla trama, da sempre molto semplice nei film targati WDAS, ma che qui gioca un ruolo più importante che mai. La prima cosa che compresero in Disney è che il film non poteva basarsi solo sull'esplorazione dei mondi videoludici, né sulle citazioni e sui personaggi concessi in licenza. Servivano personaggi in cui identificarsi, ed elementi narrativi abbastanza universali da poter esercitare il loro appeal anche su chi questo mondo ancora non lo conosceva. I personaggi dei videogiochi furono quindi trattati alla stregua di attori, chiamati ogni giorno ad interpretare il loro ruolo all'apertura della sala giochi, salvo poi staccare la sera, alla chiusura. Nel momento in cui vengono controllati dal giocatore perdono parzialmente il controllo delle loro facoltà motorie, anche se il film mostra che potrebbero benissimo resistergli all'occorrenza. Alcuni di loro, come il Sergente Calhoun, hanno una backstory inserita nella programmazione, che sanno essere falsa, ma il cui ricordo ne influenza, loro malgrado, la sfera emotiva. Inoltre alcune creature come gli insettoidi dello sparatutto Hero's Duty non sanno di essere in un gioco e reagiscono al loro istinto, come se si trattasse di veri animali. Ma per tutti gli altri si tratta unicamente di lavoro. Un lavoro che può non piacere.
Con l'arrivo di Rich Moore, il focus della storia viene infatti spostato da Felix Aggiustatutto, l'eroe di un gioco anni 80, al villain Ralph Spaccatutto, considerato dagli sceneggiatori più intrigante della sua controparte, per raccontare al pubblico cosa potrebbe accadere se ci si ritrovasse insoddisfatti dell'etichetta che la società ci affibbia. Lo spunto iniziale del villain stufo del suo ruolo, che va alle sedute di autocoscienza sognando di cambiare le cose, darebbe già di per sé materiale sufficiente ad imbastire un valido lungometraggio. Il film però va oltre e usa questo spunto solo come chiave di accensione per una vicenda più complessa e di ampio respiro.
Una volta lasciata la sua “casa”, il coin-op anni 80 Fix-It Felix Jr., e dopo una breve tappa nello sparatutto di ultimissima generazione Hero's Duty, Ralph arriva infatti a Sugar Rush, dove la storia prende nuovamente il via, come se si trattasse di un film nel film. Non si tratta però della confusionaria struttura a matrioska tipica delle ultime stagioni dei Simpson: con l'ingresso a Sugar Rush è possibile avvertire un calo di ritmo che potrebbe dare adito ad alcune perplessità, ma ben presto ci si rende conto che invece il tutto è perfettamente funzionale al quadro generale, che a dispetto dell'estrema varietà di situazioni non viene perso mai di vista. In questo mondo zuccheroso e fatto di dolciumi, Ralph si ritroverà infatti a specchiarsi nella piccola Vanellope, la cui condizione è addirittura peggiore della sua. A differenza di Ralph, che viene semplicemente trattato con diffidenza a causa delle sue dimensioni, pur avendo un ruolo all'interno della sua società, Vanellope è un glitch, un errore di programmazione, e come tale viene infatti pesantemente discriminata e trattata da intrusa nel suo stesso gioco. Sarà attraverso di lei che Ralph troverà la motivazione necessaria per mettere da parte le sue rivendicazioni e accompagnare la ragazzina alla scoperta degli intrighi che si nascondono all'interno del suo mondo, tanto caramelloso quanto infido. Perché bisogna proprio riconoscerlo: la trama di questo film è semplice ma allo stesso tempo ricca di elementi, spunti e storyline secondarie che vanno a intrecciarsi alla perfezione in un climax finale davvero intenso e emozionante, non risparmiando momenti davvero struggenti come la distruzione della macchinina, e persino alcuni colpi di scena, merce rara in questo tipo di cinema. Uno dei motivi di questi guizzi stilistici è la presenza tra gli sceneggiatori di un elemento nuovo, la brava Jennifer Lee, che verrà successivamente promossa a co-regista di Frozen, il successivo film degli studios. Rich Moore dal canto suo è stato veramente bravo ad infondere nel film la sua verve umoristica: raffinato, sagace e graffiante senza però cadere nel cinismo gratuito, è riuscito a sfruttare a meraviglia il meccanismo classico della società parallela, alimentandolo con idee sempre geniali. I personaggi sia principali che secondari sono realizzati con maestria e intrecciano relazioni assolutamente convincenti. Ogni particolare di ogni mondo videoludico rappresentato potrebbe benissimo generare ulteriore materiale derivativo, e l'impressione generale che si ha è che l'animazione Disney si sia finalmente proiettata verso una nuova frontiera narrativa.
In un cinema come quello Disneyano, spesso e volentieri dominato da adattamenti di storie già note, non è mai stata la complessità della trama a rimanere impressa nel pubblico. Contava assai di più il modo in cui veniva esposta, con uno storytelling compatto ed efficace presso ogni tipo di pubblico. Altri studios facevano l'inverso, prediligendo intrecci intricati, ma poco concisi. Rich Moore trova qui un buon modo per evolvere l'aspetto narrativo del cinema Disney, arricchendo la trama di quel poco che basta a renderla competitiva con altre opere narrative più complesse, senza però rinunciare a quella pulizia e armonia tra le parti che ha sempre contraddistinto la sinteticissima narrazione disneyana. E non è affatto poco.
La Costante Stilistica

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i WDAS hanno cominciato a maneggiare la CGI come tecnica di animazione. E se anche i primi tentativi furono goffi, con Rapunzel molte cose cambiarono, e avvenne una vera e propria rivoluzione stilistica. Per la prima volta venne trovata la chiave per fornire allo spettatore un'alternativa alla stilizzazione pixariana, basata perlopiù su figure geometriche, senza però sfociare in quell'eccesso di realismo che avrebbe prodotto il fenomeno dell'uncanny valley. La Disney finalmente diceva la sua, e la diceva per bene, in un campo che le si credeva precluso.
Sapevano tutti però che con Ralph Spaccatutto non avremmo avuto un seguito vero e proprio del discorso stilistico iniziato con Rapunzel, dal momento che la maggior parte dei personaggi dovevano essere per forza di cose molto stilizzati, dovendo rispecchiare lo stile dei rispettivi giochi. E infatti il film è un trionfale mischiotto di stili e culture diverse, nel quale convivono personaggi provenienti da giochi prodotti in paesi diversi e in tempi diversi. Senza contare poi le numerose apparizioni su licenza di personaggi preesistenti, ognuno con un suo stile che bisognava uniformare agli standard qualitativi Disney, stando però bene attenti ad evitare snaturamenti. Ogni personaggio è stato trattato con rispetto, fornendo una reinterpretazione disneyana soltanto di quelli di cui non esisteva un modello poligonale soddisfacente (vedi Zangief che qui sfoggia una recitazione e delle espressioni brillantissime), mentre altri come Sonic e Bowser sono rimasti totalmente aderenti ai loro rispettivi modelli attualmente in voga, tanto che la stessa Nintendo, inizialmente molto restia all'idea di concedere un suo personaggio per un film, è stata soddisfatta del risultato. Altre case videoludiche invece sono state sin da subito ben felici di concedere i diritti di alcuni videogiochi del passato, dal momento che un film Disney rappresentava pur sempre una notevole occasione di rilancio.
Quattro sono i personaggi principali del film. Ralph Spaccatutto e Felix Aggiustatutto non sono altro che la riproduzione tridimensionale degli artwork adesivi che decorano il loro cabinato d'origine, Fix-it Felix Jr. Le fonti d'ispirazione sono ovviamente Donkey Kong e Mario, avversari nei due storici arcade Donkey Kong e Donkey Kong Jr., di cui viene riprodotto a meraviglia lo stile cartoon tipico degli anni 80. Gli abitanti del condominio in cui si svolge il gioco invece si muovono volutamente a scatti e hanno un aspetto molto semplice, che però si armonizza con la stilizzazione cartoonesca dei due personaggi principali. I primi minuti di film ci mostrano il gioco dall'esterno, ed è un tripudio di pixel-art 8 bit, ma quando poi si entra nel loro mondo, con una straordinaria carrellata verso lo schermo, si può notare come la poligonalità non tradisca per niente l'effetto vintage degli ambienti. Il condominio che fa da setting al gioco è infatti minimalista ed essenziale e lo stesso vale per i dintorni, dall'aspetto spartano, squadrato, spesso e volentieri pixelloso. Persino le nuvolette di polvere assumono un aspetto cubico, ma sorprendentemente l'insieme risulta ugualmente coloratissimo e piacevole alla vista, senza alcuna freddezza visiva.
Vanellope e gli altri nanerottoli del videogioco di corse Sugar Rush sono invece radicalmente diversi. La fonte d'ispirazione del gioco è chiaramente la serie di Mario Kart, trasfigurata però in un mondo di dolciumi assolutamente disneyano, che richiama non poco la straordinaria Silly Symphony Pasticciopoli (The Cookie Carnival), e che regala al film la sua ambientazione principale. Si tratta di un fittizio videogioco giapponese anni 90, che come tale riserva ai suoi personaggi uno stile fortemente kawaii: occhi enormi, corpicini deformed, tanta pucciosità. Si tratta forse dei modelli più lontani dallo stile a cui ci ha abituati la Disney finora, ma il tutto viene controbilanciato dalle ottime e curatissime animazioni e dall'impegno profuso per non farli stonare col resto del cast. Re Candito merita però un discorso a parte. Pur essendo il re del mondo di Sugar Rush, non condivide con gli altri personaggi lo stile grafico, anzi, visivamente rappresenta un vero e proprio intruso. Sembra la versione aggiornata del Cappellaio Matto, e questo sia nell'aspetto che nella recitazione, che riprende pari pari quella di Ed Wynn, l'attore che in Alice gli prestava la voce, e che in Mary Poppins interpretava lo Zio Albert. I suoi movimenti offrono una gamma di virtuosismi veramente notevoli, in larga parte dovuti alla bravura di Eric Goldberg, veterano del 2D che con i suoi pencil test ha fornito istruzioni precise agli animatori su come muoverlo. Il motivo per cui Re Candito è stato differenziato tanto dal resto del cast di Sugar Rush diventerà poi chiaro più avanti nel film, quando ci verrà mostrato chi è davvero e cosa è capace di fare, mostrandocelo nell'atto di smanettare con il codice del gioco, in una delle più efficaci e illuminanti rappresentazioni visive del mondo virtuale mai viste al cinema sin dai tempi di Tron. Insomma l'impressione finale è che pur rimanendo nel solco delle stilizzazioni, gli artisti Disney piuttosto che scoppiazzare la Pixar abbiano invece trovato una strada personale per rappresentare i personaggi di Sugar Rush, attingendo a fonti diversissime tra loro.
Nella tappa ad Hero's Duty, infine, vediamo finalmente proseguire il discorso stilistico sulla figura umana iniziato con Rapunzel, che qui arriva ad un secondo step grazie al Sergente Calhoun, le cui fattezze richiamano molto la capellona di Glen Keane. Non si tratterà del personaggio più profondo del quartetto, ma al di là dello stereotipo della tipa tosta che sotto sotto ha un cuore d'oro, la biondina riesce a regalarci recitazioni ed espressioni veramente raffinate, e non è un caso che i primi concept del personaggio risalgano anche in questo caso all'immenso Glen Keane. A Hero's Duty, poi, dove dovrebbe prevalere un'atmosfera malata, fredda e in linea con le dinamiche da sparatutto, tutto è immerso in una trasognata luce verde, che di certo descrive un ambiente ostile, ma lo fa in modo ben poco realistico, quasi fantasy.
Ed ecco trovato il bandolo della matassa, il quid che fa capire finalmente dove voglia filosoficamente andare a parare la CGI disneyana. Quando Glen Keane affermò che il principio fondante della Pixar è “sarebbe bello se...” mentre quello dei WDAS è “c'era una volta...”, non intendeva certo limitare il campo d'azione degli studios Disney alle semplici fiabe. Quello che intendeva era invece sottolineare la differenza di approccio tra i due studios in termini prettamente stilistici. Aveva ragione. Provando anche solo a confrontare le filmografie WDAS e Pixar, limitandosi alle sole opere CGI, le differenze saltano all'occhio immediatamente. E non si tratta solo di character design, da sempre più stilizzato ad Emeryville, ma soprattutto dei setting: i mondi Pixar sono più concreti, più fotorealistici, sia che si tratti di scenari naturalistici, sia che si tratti di setting urbani. Al contrario, le opere CGI dei WDAS ricercano l'effetto opposto, sono votate all'astrazione, e anziché mostrare le cose come sono, cercano di idealizzarle, sia nella forma che nei colori. E questo lo si vedeva sin dai tempi di Chicken Little, con la sua cittadina surreale e colorata, e de I Robinson in cui diverse dominanti cromatiche caratterizzavano ogni epoca. Persino in Bolt, il più “urbano” del lotto, a ben guardare, i paesaggi visti sullo sfondo erano composti da chiazze di colore, che restituivano al tutto un'improbabile resa pittorica. Prep and Landing, infine, altro non era che la tridimensionalizzazione dei coloratissimi concept art in stile Mary Blair, che gli artisti avevano realizzato per immergerci nel mondo di Babbo Natale. Insomma, in un'epoca in cui il Canone Disney ha subito una fortissima diversificazione, ecco che finalmente è stata trovata una costante. Che si tratti di 2D o di CGI, di classiche fiabe o di idee originali e moderne, c'è una tradizione visiva ben precisa che i WDAS stanno portando avanti, e che li distingue dagli altri studios. E il fatto stesso che in un film come Ralph, che avrebbe avuto tutti i motivi per avere un look freddo e “techno”, lo spettatore venga invece immerso in scenari tanto pittoreschi e favolistici la dice lunga su cosa veramente Keane intendesse con il suo “c'era una volta”.
Una Colonna Sonora Nascosta

Ralph Spaccatutto ha una signora colonna sonora. Le strumentali sono state composte da Henry Jackman, che si era già occupato del precedente Winnie the Pooh, e che qui dimostra una versatilità incredibile nel passare dalle sonorità del Bosco dei Cento Acri a quelle più elettroniche del mondo videoludico. Jackman fa un lavoro notevole scrivendo una partitura davvero originale, che riesce a comunicare emozioni anche molto forti usando sia l'orchestra che i suoni elettronici retrò, a seconda di dove si svolge l'azione. Pur non trattandosi di un musical, sono inoltre presenti alcune canzoni, la maggior parte delle quali sono le colonne sonore fittizie dei rispettivi giochi. Va detto che i Walt Disney Animation Studios non hanno badato a spese, coinvolgendo nomi molto famosi per ottenere brani che potessero davvero essere credibili nel loro contesto. Skrillex ha infatti realizzato Bug Hunt come colonna sonora di Hero's Duty, mentre il gruppo giapponese AKB48 ha invece realizzato la deliziosa e nipponica Sugar Rush, per il gioco omonimo. Abbiamo inoltre Buckner & Garcia con Wreck-It, Wreck-It Ralph, una sorta di inno al protagonista che ricorda non poco le sigle dei cartoni animati anni 80, e infine il pezzo degli Owl City, rilasciato anche come singolo, When Can I See You Again?.
Ed ecco quello che potrebbe forse essere l'unico vero neo del film: Ralph Spaccatutto è un'opera che non valorizza per niente la propria colonna sonora. È un peccato, visto che il materiale buono ci sarebbe, ma è un dato di fatto: Moore si è dimostrato un regista provetto sotto molti aspetti, tranne che in questo. Sia Bug Hunt che Sugar Rush non hanno alcuna rilevanza all'interno del film, si sentono di sottofondo per pochi secondi durante le partite ai rispettivi giochi, ma non si fanno per niente notare, non emergono, vengono coperte dal dialogo e dagli effetti sonori, e in fin dei conti è come se non ci fossero. Potrebbero essere benissimo sostituite da una qualsiasi strumentale e la differenza non si noterebbe, e specialmente per Sugar Rush questo è un vero peccato. Quest'ultima torna poi in versione integrale e “ripulita” durante i credits, ma inserire una canzone lì è come non averla utilizzata. E la cosa drammatica è che un destino ben peggiore l'hanno avuto le altre due canzoni citate. Sia When Can I See You Again? che Wreck-It, Wreck-It Ralph sono state relegate lì senza alcun utilizzo nel corso del film e questo dispiace molto, anche data la loro qualità. Che Ralph Spaccatutto non fosse un musical si sapeva, tuttavia molti film, pur non essendolo, riescono per mezzo di eleganti montaggi a trovare spazio per inserire qualche canzone. A ben vedere una sequenza del genere c'è anche qui, ed è quando Ralph insegna a Vanellope come si guida. Il problema è che la canzone ivi inserita è la preesistente Shut Up And Drive di Rihanna, che con il tono del film non c'entra proprio nulla. Oltre ad essere parecchio fuori registro, descrive la scena piuttosto male e fa venire una certa rabbia, specialmente se si pensa che in quella posizione avrebbe potuto esserci una delle tante canzoni create ad hoc e lasciate a marcire nei credits. Di positivo va riconosciuto che When Can I See You Again? è stata posizionata all'inizio dei titoli di coda e accompagna le bellissime animazioni in pixel-art dei primi minuti dei credits.
L'Eredità di Ralph

Ed eccoci a tirare le somme. Quello che dal punto di vista del finto appassionato poteva sembrare un Pixar mancato, si è invece rivelato ad un'analisi più attenta qualcosa di assolutamente differente. Ralph Spaccatutto infatti è un film che non si limita a svelarci la sua essenza Disney dietro una facciata fintamente modernista (quello casomai era Bolt), ma qualcosa di ancora più ambizioso. I Walt Disney Animation Studios con questo film si sono letteralmente appropriati di un contesto che si pensava non potesse essere loro e l'hanno sapientemente piegato ai loro principi estetici e narrativi, consegnandoci un risultato assolutamente convincente. Disneyland non è stato invaso, ma ha allargato i suoi confini, colonizzando i territori circostanti. Territori che, a dire il vero, un tempo aveva già posseduto, ma che di recente avevano avuto altri gestori.
E la cosa ha fatto bene agli incassi. Ralph in America ha avuto buoni risultati, accattivandosi le simpatie di tutti, proponendo al pubblico uno spunto intrigante, un tema mai davvero esplorato e prendendo per la gola i nostalgici a suon di citazioni. E nell'ottica di una rinascita qualitativa dell'animazione Disney, ha alzato ulteriormente l'asticella qualitativa che Tiana, Rapunzel e Winnie avevano contribuito a spingere in su. E se a questo sommiamo il successo senza precedenti del successivo Frozen e la rivoluzione tecnica e visiva del corto Paperman, abbinato proprio a Ralph, possiamo finalmente dire che la rinascita degli studios è giunta a compimento. Non è un caso che in questo clima trionfale, qualcuno abbia già ipotizzato un sequel per Ralph. Certo, l'eccesso di sequel nel mondo dell'animazione sta sminuendo molto questa forma d'arte, specialmente da quando la stessa Pixar ha abbracciato tale politica, tuttavia sin dalle prime interviste siamo a conoscenza di alcune storyline e idee scartate che furono messe da parte per ragioni di minutaggio e che potrebbero vedere la luce se il sequel venisse confermato: il retaggio di Felix e l'apparizione di Fix-It Felix Senior, o la tappa nel genialissimo Super Easy Life, sorta di parodia che fonde insieme The Sims e GTA. Senza contare il fatto che l'universo narrativo in questione ha ancora tanto da offrire in termini di idee e materiale, un potenziale davvero infinito che oscilla tra citazioni, parodie e luoghi fantastici da esplorare. Le logiche che governano questo mondo suscitano non poca curiosità, e se a tutto questo aggiungiamo che uno degli obiettivi degli autori per un ipotetico sequel sarebbe di inserire nel cast proprio Sua Maestà Super Mario, l'idea non dovrebbe spaventare troppo. Non resta che attendere con fiducia i futuri lavori di quello che è tornato ad essere lo studio d'animazione migliore sulla piazza.


di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica
- Titolo originale: Wreck-It Ralph
- Anno: 2012
- Durata:
Credits
Nome | Ruolo |
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