Frozen - Il Regno di Ghiaccio

Settant'Anni in Freezer

Frozen era rimasto congelato a lungo. E non è solo un gioco di parole. Le origini del progetto risalgono infatti al 1943, quando lo stesso Walt Disney aveva pensato di realizzare un adattamento animato della celebre fiaba di Hans Christian Andersen, La Regina delle Nevi. C'era un rapporto speciale tra Andersen e Walt, che risaliva ai tempi delle Silly Symphony: il team di Walt aveva infatti realizzato non uno ma ben due adattamenti molto diversi della fiaba del Brutto Anatroccolo, rispettivamente nel 1931 e nel 1939. La prima versione non era affatto fedele alla storia originale e risentiva di alcuni stilemi tipici dell'epoca, mentre la seconda fu un vero successo, e segnò un punto di svolta nel rapporto tra Walt e le opere dello scrittore danese. Se si esclude però una breve sequenza biografica animata, inserita all'interno dell’episodio From Aesop to Hans Christian Andersen nella serie televisiva antologica Disneyland, fu solo dopo la morte di Walt che questo connubio diede i suoi frutti. Nel 1989 infatti gli studios portarono nelle sale un progetto che a Walt era molto caro, La Sirenetta, e diedero così il via al Rinascimento Disneyano. In Fantasia 2000 venne poi inserita la sequenza dell'Intrepido Soldatino di Stagno mentre nel 2006 realizzarono il commovente cortometraggio La Piccola Fiammiferaia. Ma per realizzare la versione Disney della Regina delle Nevi ci vollero ben settant'anni. Più volte il progetto venne preso in considerazione, abbozzato e nuovamente accantonato per le ragioni più svariate. Che fossimo nella seconda guerra mondiale, nell'era xerografica, nel Rinascimento anni 90 o nella recente crisi di inizio millennio, i problemi che sorgevano riguardavano sempre la storia: non c'era modo, seguendo il testo di Andersen, di riuscire a connettere emotivamente il pubblico con Elsa, nome che Walt volle dare alla regina. Poi arrivò l'illuminazione. Il progetto era stato ancora una volta archiviato a causa della performance non ottimale al botteghino de La Principessa e il Ranocchio, ma il grande successo di Rapunzel aveva dimostrato alla dirigenza Disneyana che il mondo delle fiabe poteva ancora interessare il grande pubblico, così il film venne immediatamente ripescato per essere rielaborato in CGI. Fu in quell'occasione che si pensò di prendere definitivamente le distanze da Andersen. La storia di Gerda, che parte alla ricerca di Kay, irretito dalla gelida regina delle nevi, subì una profonda trasformazione: Gerda divenne Anna, mentre Kay e la regina delle nevi vennero invece combinati insieme per ottenere... la sorella di Anna. Sulla falsariga di Tangled, il titolo divenne Frozen e la storia si trasformò nel viaggio di Anna alla ricerca della sorella Elsa, autoesiliatasi tra i ghiacci per paura di non riuscire a controllare il suo potere. Trasformare il tutto nella storia di due sorelle fu la chiave di volta: Elsa era adesso diventata un personaggio drammatico, non più una semplice villain ma una personalità complessa e sfaccettata, che avrebbe potuto affascinare il pubblico col suo carisma e allo stesso tempo portare le ragazze più malinconiche e introverse ad identificarsi in lei. La solare ed estroversa Anna avrebbe fatto lo stesso con un'altra fetta di pubblico, e la sua connessione di sangue con Elsa l'avrebbe motivata ancor più nel partire alla sua ricerca. Il pubblico avrebbe inoltre potuto riconoscersi in questa storia di incomprensioni familiari, amandone tanto la componente intima quanto quella più avventurosa.

A Tale of Two Sisters

Rispetto alla lenta e difficoltosa pre-produzione del film, l'animazione e la post-produzione sono state fatte velocemente, e in questa nuova incarnazione il film si è presentato puntualmente nelle sale per il 2013. A firmare la regia troviamo Chris Buck e Jennifer Lee. Buck aveva già diretto il 37° lungometraggio degli studios, Tarzan, assieme a Kevin Lima, per poi realizzare Surf's Up per la Sony. Jennifer Lee, prima donna a dirigere un lungometraggio animato Disney, è stata promossa alla regia dopo aver curato la sceneggiatura sia di Ralph Spaccatutto sia dello stesso Frozen, affinché potesse infondere a questa storia di sorelle una sensibilità tutta femminile. E di certo questo feeling si avverte sin dai primi momenti del film, in cui viene mostrata l'infanzia delle due protagoniste e l'evolversi del loro rapporto nel tempo. Il cuore della storia è tutto qui, e questa scelta si rivela vincente. L'animazione, la recitazione e i dialoghi fanno il resto, calando lo spettatore all'interno di una vicenda narrata in modo semplice ma efficacissimo. Buona parte del merito lo hanno le canzoni, concentrate soprattutto nella prima metà del film, e da sempre cavallo di battaglia narrativo e visivo dei Walt Disney Animation Studios. Per la prima volta dopo tanti anni, la natura musical del film non viene in alcun modo taciuta, né passa in secondo piano: le canzoni vengono infatti sfoggiate con l'energia e la fierezza di chi sa di poterle vantare come parte della propria tradizione. E in questo possiamo individuare un cambio di rotta non da poco. La rivoluzione Pixar, il disincanto Dreamworks e la svolta in CGI avevano portato negli scorsi anni una certa sfiducia e paura di mostrarsi per quel che si era. E se Rapunzel ancora cercava di nascondere in qualche modo i suoi aspetti più classici, fingendo presso il pubblico di essere più una commedia moderna che una fiaba, Frozen non ha alcuna vergogna di dire la verità. Anche a costo di mettere in scena meccanismi narrativi che si ritenevano più datati. La seconda parte del film, incentrata sul viaggio di Anna, del montanaro Kristoff e del pupazzo di neve Olaf, potrebbe infatti ad una prima occhiata ricordare la commedia brillante di Tangled; ma è invece la parte più convenzionale e ingenua, nella quale vengono riproposte alcune dinamiche tipiche dei film di qualche anno fa, come la presentazione cantata della spalla comica Olaf, o l'arrivo nel villaggio dei Troll canterini. Nel terzo atto arrivano un paio di bei colpi di scena, che senza dubbio spostano l'asticella narrativa più in alto rispetto al tradizionale storytelling disneyano, ma nel complesso si rimane legati ad una struttura piuttosto classica. La complessità narrativa di Ralph Spaccatutto, l'umorismo sopra le righe di Winnie the Pooh, le tematiche inedite de La Principessa e il Ranocchio e Rapunzel non vengono bissate. Frozen ha senza dubbio dei contenuti molto buoni, ma le sue conquiste stanno altrove: nel suo rifuggire qualsiasi forma di ibridismo o incertezza di registro, nel suo fornire finalmente un'alternativa convincente alla tradizione menkeniana, e nel suo portare la computer grafica dei WDAS verso vette ancora più elevate.

Non-Photorealistic Rendering & Pencil Test

Le polemiche che hanno investito il mondo del cinema d'animazione, con l'avvento della CGI e il triste declino dell'animazione tradizionale, sono state particolarmente aspre nel caso dei Walt Disney Animation Studios, rei di aver abbandonato la tecnica che avevano contribuito a trasformare in un'arte. Sin dal principio gli studios hanno però cercato di riappropriarsi della loro tradizione, aggirando gli ostacoli che la dirigenza e lo scenario attuale mettevano loro davanti: sia i tentativi di far rivivere l’animazione 2D con La Principessa e il Ranocchio e Winnie the Pooh, sia le sperimentazioni ibride del miracoloso Paperman e del geniale Get a Horse! (che accompagna proprio Frozen) sono ben noti. I più attenti si sono però accorti che questa ribellione artistica ha lanciato un seme anche all'interno delle produzioni in CGI, un seme che è germogliato e che adesso sta seriamente ristrutturando la computer grafica WDAS dall'interno.

Tutto parte dagli sfondi. Quando nel 2005 gli studios entrarono nell'epoca del biasimo, pochi si accorsero che a fronte di una modellazione ancora piuttosto approssimativa dei personaggi, gli studios stavano cercando di mantenere una propria riconoscibilità: gli scenari in cui i personaggi di Chicken Little e I Robinson si muovevano non avevano nulla del fotorealismo Pixar, erano fondali coloratissimi e assolutamente non realistici. Era l'astrazione a predominare, la voglia di immergere lo spettatore in scenari ideali e fiabeschi. Fu solo con Bolt che la cosa divenne evidente: la sequenza musicale Barking at the Moon presentava fondali mai visti prima, a metà strada tra uno scenario tridimensionale e un dipinto. Attraverso Prep and Landing, Rapunzel e Ralph Spaccatutto la tecnica del non-photorealistic rendering venne ulteriormente affinata, per trovare proprio in “Frozen” il suo culmine.

L'art director Michael Giaimo, già responsabile della direzione artistica di Pocahontas ha qui fatto un lavoro incredibile, per restituirci la sensazione di muoverci all’interno di coloratissimi dipinti. Col suo team ha svolto un viaggio di documentazione che l'ha portato in Wyoming e in Canada, ma è stato in Norvegia che lo stile del regno di Arendelle, con le sue architetture, colori e abiti ha preso forma. Tanto nella sua versione estiva che in quella invernale, ogni scenario di Arendelle potrebbe ingannare chiunque: basta un fermo immagine per farlo sembrare uno splendido quadro. I fondali innevati sono a dir poco impressionanti, ma per quanto la neve sembri spalmata su di essi con virtuosistiche pennellate, il modo in cui gli animatori degli effetti speciali con i loro software l'hanno fatta muovere e reagire agli impulsi esterni è assolutamente rispettoso delle leggi della fisica. I WDAS si dimostrano quindi all'avanguardia, tanto tecnologicamente quanto stilisticamente, conferendo ai fondali un appeal visivo che non fa certo rimpiangere l'animazione tradizionale.

Discorso molto più complesso meritano l'animazione e la modellazione dei personaggi che compongono il cast di Frozen. La figura umana è sempre stata il tallone d'Achille della CGI. La difficoltà di rendere credibili ed estetici gli esseri umani ha spinto studi come la Pixar ad adottare stili fortemente caricaturali e geometrici, per mascherarne le mancanze. Ma da Rapunzel in poi molte cose sono cambiate: gli sforzi dei WDAS per trovare un giusto equilibrio tra realismo e caricatura sono stati coronati dal successo grazie al talento di Glen Keane, forse il più grande animatore Disney di sempre. Il metodo Glen Keane, applicato successivamente anche a Ralph Spaccatutto, trova in Frozen un ulteriore perfezionamento. Gli animatori 3D creano i modelli dei personaggi cercando di riprodurre lo stile dei grandi disegnatori al lavoro su bozzetti e concept, e una volta ultimati li muovono basandosi sui pencil test, animazioni di prova che i veterani forniscono loro. Le finezze e la sensibilità dell'animazione tradizionale vengono così infuse nella CGI, con una resa mai vista prima, superiore per bellezza e raffinatezza a qualsiasi altro tentativo fatto da studi esterni. Dopo Rapunzel Glen Keane si è però ritirato e il suo ruolo in Frozen è stato preso dal grande Mark Henn, che si è dimostrato perfettamente degno di succedergli.

Sebbene molti abbiano notato nei personaggi una forte somiglianza con gli umani di Rapunzel (gli occhioni delle due protagoniste, ad esempio), va ricordato che la sperimentazione è ancora agli inizi, ed è perfettamente normale che una volta trovata una strada stilistica convincente la si voglia percorrere, in attesa di migliorarsi sempre di più. Ma pur partendo da quello stesso codice grafico, in Frozen traspare moltissimo dell'impronta stilistica di Mark Henn, che in passato è stato supervisore di splendidi personaggi femminili come Jasmine, Mulan e Tiana. Quanto all'animazione dei modelli in sé, i movimenti denotano una grazia e una complessità recitativa che supera persino quanto fatto con Rapunzel.

Il Cast di Mark Henn

Chiaramente il picco è rappresentato dalle due protagoniste. Sono loro i personaggi migliori, su cui i virtuosismi degli animatori si concentrano: Anna ed Elsa danzano sullo schermo, con simpatia, bellezza e carisma, offrendoci quanto di meglio l'arte dell'animazione abbia prodotto negli ultimi anni. Tanto graficamente, quanto psicologicamente, questi due straordinari personaggi si dimostrano curati a regola d'arte, e offrono al pubblico uno spettacolo emozionante che esplora un aspetto parentale mai realmente approfondito nella filmografia dei WDAS. Certo, la tematica del liberarsi dai propri demoni interiori spalancando le porte del cuore al prossimo non è del tutto inedita, però funziona anche grazie al modo convincente in cui viene messa in scena e alle originali sfumature che assume (quelli di Elsa sono realistici attacchi di panico!). Le recitazioni delle due sorelle, sofferte e vitali come mai si era visto in un film in CGI, coinvolgono lo spettatore nel loro “dramma”, con una comunicatività eccellente.

I personaggi maschili non raggiungono le vette delle due protagoniste, ma hanno comunque modo di distinguersi. Se il montanaro Kristoff poteva a prima vista sembrare una versione aggiornata di Flynn Rider, psicologicamente è molto diverso. Rude e leggermente autistico nel rapportarsi con la sua renna in modo quasi maniacale, fornisce un contrappunto “coi piedi per terra” al carattere pazzerello di Anna, il cui interesse è invece tutto per Hans, principino idealizzato dall'aspetto un po' inamidato e probabilmente il meno adatto ad essere rappresentato in CGI. Per quanto riguarda gli sviluppi delle loro storyline fa piacere vedere come si sia cercato di dare uno scossone allo storytelling disneyano, da sempre caratterizzato da formule piuttosto semplici. Già in Ralph Spaccatutto avevamo avuto il villain svelato solo alla fine: qui lo stratagemma viene ripetuto (del resto la sceneggiatrice è la stessa) e addirittura il cattivo è il bel principe di cui Anna è innamorata. Il retrogusto, specie dopo il loro duetto canoro a inizio film, è piuttosto amaro, ma realistico. Come già in Enchanted, viene fornita una rilettura disincantata del concetto di amore a prima vista, una critica che nel corso del film viene mossa anche dal concreto Kristoff. Questi poi si candida a diventare il nuovo amore di Anna, ma la cosa non è automatica e infatti viene appena accennata alla fine, come giusto che sia. La canzone d'amore dei Troll, e il colpo di scena finale con l'incantesimo spezzato proprio dall'amore tra sorelle, sembrano voler aggiungere ulteriori elementi per dare allo spettatore moderno un quadro completo e per niente semplicistico della tematica amorosa.

A spiccare nel cast, per quanto riguarda i personaggi più caricaturali e umoristici, abbiamo ovviamente il pupazzo di neve Olaf. È lui il protagonista di una campagna di marketing massiccia, che in un primo tempo ha totalmente depistato il pubblico, spingendo a credere che Frozen fosse un film incentrato su di lui. L'antipatia verso Olaf, col senno di poi, era giustificata? No. Graficamente Olaf è quello che forse risente di più dei limiti della computer grafica: il suo essere totalmente bianco, privo di ombre e linee, mette in evidenza una certa plasticosità, effetto che la CGI dei WDAS normalmente cerca di evitare; inoltre la sua canzone di presentazione appare un po' fuori posto. Tuttavia non si tratta di una spalla comica sguaiata e invasiva, ma l'esatto contrario. Il garbato e innocuo Olaf nasce da una domanda che gli sceneggiatori si sono posti durante la lavorazione: “in che modo penserebbe un pupazzo di neve?” La conclusione era stata: “in modo assolutamente puro, innocente, candido come la neve”. Da qui l'idea geniale di elaborare per lui una storyline che lo vedesse intento a sognare l'estate, senza minimamente rendersi conto delle conseguenze che il caldo avrebbe su di lui. La caricaturale innocenza di Olaf centra l'obiettivo. È una spalla davvero divertente, ma ha anche un significato: creato da Elsa come proiezione inconscia di un momento felice passato con la sorellina durante l'infanzia, diventa poi il simbolo del loro stesso ritrovarsi in età adulta.

Un ruolo piccolo ma fondamentale lo hanno anche i Troll, stilisticamente ordinari ma gradevoli, il grasso Oaken e il personaggio del Duca di Weselton, l'essere umano più caricaturale di tutti, ma anche quello in cui si nota di più il lavoro di squash and stretch: uno dei principi fondanti dell'animazione, utile a conferire dinamicità ai movimenti, che qui più che mai dobbiamo all'uso ingente di pencil test. Infine c'è Sven, la renna di Kristoff, da molti ostracizzata come clone del Maximus di Rapunzel, ma in realtà di temperamento opposto. Di affine a Maximus c'è l'uso disneyanissimo della pantomima, quel genere di comicità muta, basata unicamente sulla personalità che Norman Ferguson aveva elaborato agli albori degli studios. Graficamente Sven è il perfetto punto di incontro tra l'animazione tradizionale e quella computerizzata, trattandosi di un animale dal grosso muso, connotato di per sé caricaturale, che accompagnato dalla fittizia linea disegnatagli addosso dai colori scuri del suo stesso manto lo rende simile alla sua ipotetica controparte disegnata, traslandolo con successo nella terza dimensione.

L'arguzia dei Lopez

Vuelie, riarrangiamento di un brano tratto dal folklore norvegese, apre Frozen, proiettando lo spettatore in uno scenario suggestivo. Se Rapunzel aveva preso per mano il pubblico, rieducandone il gusto a poco a poco, in direzione del musical fiabesco, Frozen trova la strada spianata. Il registro più aulico e i toni epici trovano perfetto compimento in una colonna sonora priva di incertezze e assolutamente fiera di appartenere allo stile Broadway che negli anni 90 portava la firma di Alan Menken. In Rapunzel Alan era riuscito a dire la sua in maniera originale, lasciando la sua inconfondibile firma, sia pur in un contesto in cui era ormai diventato difficile farla emergere. Successivamente si era dedicato agli spettacoli teatrali Disney, trovando campo libero, ma lasciando i Walt Disney Animation Studios orfani della sua incredibile arte. Con Frozen l'arduo problema della successione è stato finalmente risolto in modo convincente.

Le strumentali sono state composte da Christophe Beck, da anni un nome noto nell'ambiente. Molti lo conoscono e apprezzano per aver lavorato su Buffy (l'episodio musical era suo), mentre di recente è diventato celebre in Disney per le musiche de I Muppet e soprattutto per aver composto la colonna sonora del rivoluzionario Paperman. Le sue incredibili orchestrazioni nobilitano e fanno risaltare ancora di più le canzoni del film, composte invece dai geniali coniugi Robert & Kristen Anderson-Lopez. Già autori a Broadway degli ottimi Avenue Q e Book of Mormon, i Lopez avevano realizzato per la Disney anche l'esilarante musical di Scrubs e le canzoni del 51° lungometraggio WDAS Winnie the Pooh, dimostrando di saper perfettamente padroneggiare più registri, dall'epica all'umorismo. Frozen è stato il loro grande banco di prova: i due artisti hanno fuso insieme certi stilemi tipici di Broadway con dei testi caratterizzati da un'arguzia notevole, trovando quella via di mezzo tra tradizione e modernità che da anni in Disney stavano cercando. Frozen rilancia in grande stile il genere musical, e dimostra che un'alternativa ad Alan Menken è finalmente possibile.

Va notato che le molte canzoni sono concentrate prevalentemente all'inizio del film, lasciando la seconda metà piuttosto sguarnita. Non è però un mistero che le canzoni da sempre servano soprattutto a presentare personaggi e tematiche, facendosi da parte ad un certo punto della narrazione. In Frozen se ne contano otto (più un reprise):

  • Frozen Heart. Dopo il rasserenante intro Vuelie, il film presenta il suo primo numero musicale, quello dei tagliaghiaccio. Potente e d'atmosfera, immerge lo spettatore in un mondo magico... presentandolo da un punto di vista più concreto che mai! Il riferimento è alla Song of the Roustabouts di Dumbo, uno dei brani più intensi e meno ricordati di quel piccolo gioiello.
  • Do You Want to Build a Snowman?. Dopo le virili note dell'intro, ecco un brano di una delicatezza unica. Inizia come una dolce ninnananna e progressivamente si fa più intenso, regalando un momento di commozione davvero indimenticabile. Le orchestrazioni di Beck fanno il resto, descrivendoci la crescita delle due sorelline attraverso alcuni momenti chiave. È qui che i temi toccati dal film affiorano esplicitamente: Elsa si nasconde dal mondo, evitando le occasioni in cui la sua emotività potrebbe farle perdere il controllo dei suoi poteri. Lei si reprime, temendo la paura stessa, e ad Anna non rimane che una porta chiusa. E il rifiuto di costruire assieme quel pupazzo di neve che invece avrebbe potuto unirle ancora...
  • For the First Time in Forever. I Lopez alle prese con la classicissima I want song, immancabile in ogni musical che si rispetti. Si tratta della canzone che definisce Anna, cantata in occasione dell'apertura delle porte del regno per l'incoronazione della sorella. Le meravigliose animazioni, la ricchezza delle gag visive, caratterizzate da una regia di alto livello, e la splendida voce di Kristen Bell ci regalano un brano veramente maestoso e pieno di voglia di vivere. Il fatto stesso che i Lopez abbiano dato ad Elsa una strofa tutta sua, anticipando per contrasto alcune note e parole di Let It Go, dimostrano una raffinatezza incredibile e una certa attenzione all'aspetto narrativo. Le canzoni non sono quindi semplici numeri musicali indipendenti, ma un autentico sistema circolatorio per il film, che lo attraversa da cima a fondo, in una contaminazione continua.
  • Love is an Open Door. Ritorna la metafora delle porte chiuse, per il duetto d'amore di Anna e Hans. Senza dubbio alcuno uno dei pezzi più atipici e interessanti del film, che ci racconta con sonorità moderne uno dei momenti più importanti dell'innamoramento. In passato il tema dell'amore a prima vista era stato già trattato, per ovvie ragioni, ma mai in maniera tanto sbarazzina. Quel senso di esalto inebriante che coglie gli innamorati nei primissimi momenti del rapporto, quando tutto è rosa, e si ha voglia di scherzare, completandosi a vicenda le frasi, non era mai stato descritto in termini tanto arguti e realistici.
  • Let It Go. La canzone con cui Elsa si libera finalmente dalla repressione e si mostra in tutta la sua potenza è senza dubbio la scena madre del film. Potente sotto ogni aspetto, dal testo all'orchestrazione, passando per l'animazione e la regia, questo segmento mostra tutta la fierezza e la fiducia in sé che questi artisti hanno avuto nella realizzazione del film. Non è un caso quindi che la doppiatrice originale di Elsa, Idina Menzel, forte della sua carriera a Broadway, urli a squarciagola. Le sue grida di estasi sono quelle di uno studio che finalmente può urlare al mondo la propria identità, e questo fa di Let It Go il manifesto programmatico di una Disney più spavalda che mai.
  • Reindeer(s) is Better than People. In una delle prime stesure del film questa era una canzone più lunga, e serviva a presentare il rapporto d'amicizia tra Kristoff e la renna Sven. Ne è rimasto ben poco però, se non un brevissimo siparietto umoristico, che senza dubbio fa il suo dovere. Al rapporto d'amicizia tra il biondo montanaro e la sua renna dagli atteggiamenti canini viene data una connotazione ironica, mostrandoci come Kristoff ami “parlare” con Sven, interpretandone la voce, un po' come i bambini fanno con i peluche.
  • In Summer. L'esperienza su Winnie the Pooh, Avenue Q e Scrubs ha dimostrato che i Lopez hanno prima di tutto una fortissima carica ironica. L'idea piuttosto divertente che un pupazzo di neve possa sognare l'estate, viene qui omaggiata con una sequenza musicale non troppo diversa da Everything is Honey. La fantasia di Olaf, per quanto cromaticamente suggestiva, è però il pezzo più debole del film, inserito in modo un po' ingenuo all'interno della narrazione. Ma considerando l'ingenuità di chi la canta, niente di grave.
  • For the First Time in Forever - Reprise. Il confronto cantato tra le due sorelle è qualcosa di più del semplice reprise della canzone di Anna. È a suo modo anche il reprise di Let It Go, il momento in cui le canzoni di entrambe (le loro anime) si fondono per dare vita a qualcosa di ancora diverso, più intenso e drammatico. Il loro duetto è caratterizzato da un'alternanza continua tra cantato e recitato, che conduce in direzioni nuove... ma anche antiche. Introdurre il cantato poco alla volta, con recitazioni cadenzate, e utilizzare la musica per raccontare gli snodi fondamentali della trama, alzando il registro e concedendosi così licenze poetiche, sono regole che i Lopez hanno assorbito molto bene tanto dalla tradizione Disney quanto da quella operistica.
  • Fixer Upper. Per quanto possa sembrare straniante, anticlimatico e un po' vintage che all'improvviso, e per giunta in una fase avanzata del film, i protagonisti arrivino nel villaggetto dei Troll accompagnati da una buffa canzone, gli autori di Frozen hanno pensato di inserire ugualmente questo trascinante numero musicale. E, incredibile a dirsi, si rivela una scelta azzeccata, a patto di fare attenzione a quello che i Troll vogliono esprimere. La canzone è senza dubbio umoristica, ma il messaggio non è per niente banale: si tratta di un invito a far funzionare la propria storia d'amore, malgrado le magagne e le avversità, con impegno e olio di gomito. Perché è questo il vero significato dell'aprire la porta all'amore. Basterebbe ciò a rendere Fixer Upper parte del discorso sull'amore che Frozen porta avanti, ma il fatto che Anna colleghi queste parole al rapporto con la sorella, dimostra quanto dietro l'apparente semplicità del linguaggio scelto dai WDAS ci sia una grandissima intelligenza.

A seconda della versione del film troviamo nei credits una cover pop di Let It Go (cantata da Martina Stoessel in Italiano e da Demi Lovato in originale), inoltre non si può non citare l'edizione USA del cd della colonna sonora, che comprende anche un secondo disco in cui gli autori presentano alcune canzoni eliminate.

La versione italiana di Frozen è veramente buona per quanto riguarda le voci. Serena Autieri, Serena Rossi ed Enrico Brignano fanno un bel lavoro, mentre per quanto riguarda l'adattamento delle canzoni, non abbiamo grosse differenze da quanto Lorena Brancucci ci ha offerto di recente. I testi hanno sicuramente dei guizzi, ma anche tante banalizzazioni, il che è inevitabile.
Piuttosto evitabile però è la rimozione quasi sistematica dei ritornelli, il sacrificio di moltissimi elementi e temi che avrebbero dovuto ricorrere da una canzone all'altra, e soprattutto il mancato rispetto della metrica, un effetto che sembrerebbe persino voluto.

L'Orgoglio di una Company

Quando si parla di Disney, “rinascita” è un termine ormai abusato. È dai tempi de La Principessa e il Ranocchio che si parla di rinascita qualitativa, di successo di critica e di pubblico e via dicendo. Ci sono stati passi avanti, passi indietro, film che soddisfacevano solo la critica ma non i botteghini e viceversa. Quello che non è mai venuto meno è il trend, la continua crescita qualitativa, che ha portato ad un risultato a cui nessuno aveva osato sperare: Frozen è riuscito a vincere l'Oscar come miglior film d'animazione, a superare il record del miliardo di dollari al botteghino e a diventare il film animato di maggior successo della storia, dimostrandosi capace di sedurre il pubblico, la critica e la stessa Disney Company che, distratta dalle innumerevoli filiali, ormai sembrava sempre meno interessata a promuovere le opere dei Walt Disney Animation Studios. L'aria buona che si respira da quelle parti ormai da un po' ha decisamente fatto bene agli studios e ai loro prodotti. Corti come Get a Horse e Paperman, film come questo e Ralph dimostrano che c'è irrequietezza nell'aria, voglia di osare, ma nel solco della tradizione. La ferita si è ormai completamente rimarginata, e i WDAS possono finalmente tornare a vantare il loro primato qualitativo sull'intero scenario dell'animazione. Il futuro porterà ancora nuove sfide: musical fiabeschi e film differenti si alterneranno, e con l'evolversi delle tecniche di animazione vedremo sempre più sperimentazioni e ibridismi, il tutto senza perdere di vista l'elemento più importante di tutti: l'identità. I Walt Disney Animation Studios hanno faticosamente riconquistato la propria: un'identità fatta di emozioni, musica, colori e Arte.

di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica

  • Titolo originale: Frozen
  • Anno: 2013
  • Durata:
Nome Ruolo