Raya e l'Ultimo Drago
Inclusione e Pandemia
Dopo aver sfornato due sequel consecutivi, con Raya e l’Ultimo Drago i Walt Disney Animation Studios sembrano voler entrare in una nuova fase produttiva. Sotto la guida creativa di Jennifer Lee, lo studio non rinuncia certo ad espandere i propri franchise, ma affida questo compito ai corti e alle serie in sviluppo per la nuovissima piattaforma Disney+, mettendo nuovamente delle idee originali al centro del proprio canone filmico. E mentre il mondo sta cambiando, e Hollywood scopre i benefici di un policy più inclusiva, attenta alle minoranze e alla diversità, anche allo studio fondato da Walt si lavora in quella direzione, promuovendo lo sviluppo di film che riflettono la nuova sensibilità. In questo nuovo scenario prende forma quindi Raya, un fantasy ambientato nella terra di Kumandra, paese immaginario ispirato all’estetica e alle culture del sudest asiatico, nello specifico: Brunei, Singapore, Laos, Thailandia, Timor-Leste, Cambogia, Vietnam, Myanmar, Malaysia, Indonesia e Filippine.
Negli anni 90 c’erano stati già dei tentativi di portare l’animazione Disney “in giro per il mondo”, dando spazio ad ambientazioni e culture differenti, ma non sempre lavori come Aladdin o Mulan avevano incontrato il favore delle popolazioni rappresentate. Così per evitare errori dettati da ignoranza o ingenuità viene messo in piedi il Southeast Asia Story Trust, un team di consulenti ed esperti incaricato di seguire da vicino la lavorazione del film, dando aiuto e indicazioni agli artisti coinvolti. L’idea per la costituzione di un gruppo del genere era nell’aria già da Moana, per il quale era stato imbastito l’Oceanic Story Trust, con uno scopo analogo. Qui l’idea di celebrare l’etnia in questione si rivela ancora più forte: asiatico è infatti l’intero team di sceneggiatori, nonché il cast vocale, che comprende attori già in qualche modo legati alla macchina produttiva disneyana: Kelly Marie Tran (Raya) viene da Star Wars, Daniel Dae Kim (capo Benja) da Lost mentre Awkwafina (Sisu) e Benedict Wong (Tong) dalle produzioni Marvel Studios.
A dirigere Raya troviamo ben quattro registi. Don Hall e Carlos Lopez Estrada sono i principali: il primo è probabilmente una delle punte del nuovo corso, con all’attivo Winnie the Pooh, Big Hero 6 e Moana, il secondo invece viene dal cinema live action, ed è alla sua prima regia disneyana. I due co-registi sono Paul Briggs, storyman con un passato nell’effettistica, e John Ripa, in passato animatore supervisore di personaggi come Jim Hawkins e Baby Tarzan. A dispetto di questo enorme sforzo collettivo, la lavorazione di Raya viene però messa a dura prova dallo scoppio della pandemia di Covid-19 che nel 2020 coglie alla sprovvista gli artisti durante l’ultima fase della produzione. All’improvviso l’hat building si svuota e gli addetti ai lavori si ritrovano a dover completare il grosso dell’animazione e della post-produzione completamente da casa, in un clima di forte incertezza. Grazie a Internet però il miracolo riesce e ben quattrocento case riescono a connettersi tra loro, permettendo agli artisti che le abitano di comunicare insieme e chiudere così la lavorazione. L’unica cicatrice dell’accaduto è il lieve ritardo che fa slittare l’uscita dalla fine del 2020 ai primi mesi del 2021. Poca cosa, considerata la situazione.
Odissea nella Diffidenza
Raya e l’Ultimo Drago è la storia di un viaggio che la protagonista intraprende per rimediare ad un errore commesso da ragazzina. L’antefatto, narrato nei primi venti minuti della pellicola, vede la giovane Raya, custode della sacra gemma drago, venir tradita dall’amichetta Namaari. Questa, nel tentativo di sottrarle la gemma, la distrugge, finendo per scatenare il mostruoso Druun, un terribile flagello in grado di trasformare in pietra le persone. Sei anni dopo, in un mondo ormai lacerato e consumato dalla diffidenza, Raya dovrà cercare di rimetterne insieme i pezzi, percorrendo uno dopo l’altro i cinque regni che compongono Kumandra. Come nella quest di un videogioco, ognuna di queste ambientazioni avrà da offrire un frammento di gemma, una breve avventura e un nuovo alleato da aggiungere al proprio party, ricostruendo a piccoli passi quel senso di unione e fratellanza che sembravano ormai irraggiungibili. Il film sembrerebbe essere pensato proprio per dire la sua, in un momento storico in cui la lontananza, il pregiudizio e la divisione sembrano essere predominanti. Ed è inoltre degno di nota che, sebbene il lungometraggio fosse in lavorazione da ben prima della pandemia, la figura del Druun, con il suo moltiplicarsi dopo ogni vittima, appaia incredibilmente simile al comportamento di un virus.
Ciò che difficilmente può lasciare indifferenti in Raya è l’estrema complessità del worldbuilding, un tratto comune a molti dei recenti film WDAS. Kumandra, al pari di San Fransokio, Zootopia o la sala giochi Litwak, è un mondo fatto e finito, con molto da offrire ma di cui vediamo solo alcuni squarci. Un lavoro di costruzione di ciò che soggiace alla trama vera e propria che per certi versi travalica lo sviluppo delle altre componenti. Lo svolgimento è infatti molto frenetico, e a volte si ha l’impressione che il ritmo travolgente con cui si passa da uno scenario all’altro non permetta di familiarizzare davvero con i membri del party di Raya, che rimangono abbozzati e umoristicamente un po’ ordinari. Il film non è un musical, e qua e là si sente un po’ la mancanza di quel tipo di storytelling che lo studio padroneggia così bene e in cui è la colonna sonora a scandire i tempi della narrazione. Di contro, sembra che si sia invece tentato di inseguire codici narrativi altrui, inglobando elementi action e comedy da altre tradizioni, con una resa però non sempre ottimale.
Dove invece il film sceglie di soffermarsi per davvero, ovvero il rapporto fra le tre protagoniste femminili, Raya, il drago Sisu e l’antagonista Namaari, si hanno invece i risultati più felici. Le due rivali si dimostrano personaggi interessanti e le sequenze in cui le vediamo combattere tra loro sfiorano vette di rara eleganza e complessità. La morale della vicenda, poi, non si limita ad un retorico invito alla pace e all’amicizia, né tratta il tema della fiducia in modo vago e astratto. Invece, si va dritti al cuore del problema, spiegando a chiare lettere come all’atto pratico si possa, con una semplice dimostrazione di fiducia, avere un effetto responsabilizzante sul prossimo. E in quest’ottica merita un plauso il bellissimo atto finale del film in cui vediamo Raya abdicare al proprio ruolo narrativo e fare un passo indietro, lasciando il compito di risolvere la situazione proprio alla sua nemica. Una sovversione delle regole in grado di dare spessore alla storia, comunicando in modo potente il suo messaggio.
Le Cinque Terre
In perfetta tradizione Walt Disney Animation Studios, anche Raya e l’Ultimo Drago è un film in CGI con un grosso debito verso il disegno bidimensionale. Un debito che talvolta viene ripagato attraverso brevi sequenze in cui fa capolino proprio quel tipo di estetica: le semplici scenette umoristiche che servono a presentare i vari regni o i piani d’azione dei diversi personaggi, trasformati in 2D con un rendering a tinte piatte, oppure il prologo della storia, con la leggenda del Druun narrata attraverso immagini stilizzate. Un ruolo determinante lo giocano gli artisti dello sviluppo visivo, un compito che nel caso del design dei personaggi viene svolto dal coreano Shiyoon Kim e dalla giapponese Ami Thompson, due pezzi da novanta della linea disneyana, già responsabili del character design di Big Hero 6 e Ralph Spacca Internet. Dei loro personaggi colpisce la loro compatibilità con lo stile dello studio e nel contempo la diversità dei loro tratti somatici, che portano Raya, Namaari e la forma umana di Sisu ad evadere dall’impostazione grafica alla Glen Keane che l’animazione disneyana ha onorato nell’ultimo decennio.
L’alta qualità del design trova un’adeguata trasposizione nell’animazione, arrivando a dare il meglio nelle sequenze di combattimento corpo a corpo, che non hanno niente da invidiare al cinema live action e che anzi si avvalgono dei punti di forza del medium animazione proponendo agli occhi dello spettatore immagini incredibilmente chiare ed efficaci. Visivamente meno interessanti le versioni giovani dei personaggi, sui quali è stato fatto uno sviluppo minore, e infatti il modello della piccola Raya non raggiunge le vette espressive della sua versione adulta. Discorso a parte lo merita Sisu, sorta di mattatrice pensata per ricoprire un ruolo simile a quello del Genio di Aladdin. Se la sua forma umana propone qualcosa di radicalmente diverso dai personaggi femminili in CGI dello studio, presentandosi come una figura in cui fanciullezza e anzianità si fondono insieme, la versione drago, modellata come un Naga orientale ma con un tocco di Nessie e di My Little Pony funziona fino a un certo punto: in alcune sequenze è davvero una gioia per gli occhi, ma sotto altre angolazioni si ha talvolta la sensazione che ci sia qualcosa di strano e che l’ottimo design non sia stato “tradotto” adeguatamente su schermo.
A occuparsi dello sviluppo visivo del mondo di Kumandra troviamo invece il veterano Paul Felix, presente ai WDAS ormai da tre decenni, insieme all’artista cinese Mingjue Helen Chen e al collaudatissimo Cory Loftis. Curiosamente tutti e tre si spartiscono la leadership del team dello sviluppo visivo, assumendo il titolo di production designer, ma occupandosi personalmente anche della direzione artistica degli ambienti. Il mondo di Raya viene così immaginato come un grande fiume a forma di drago, sulle cui rive si sono insediati alcuni regni che hanno preso il nome delle corrispondenti parti del corpo. A lasciare a bocca aperta è il modo in cui ognuna delle cinque regioni appaia come un mondo a sé, con una sua estetica, una sua storia e un suo sviluppo. Si comincia da Cuore (Heart), la patria di Raya, un’isola collocata in una zona stagnante del fiume e caratterizzata da una vegetazione lussureggiante. Al contrario, Coda (Tail) ne è agli antipodi, un arido deserto scarsamente abitato. Il viaggio prosegue ad Artiglio (Talon), un variopinto snodo commerciale costruito su palafitte, ispirato ai mercati notturni di Thailandia, Laos e Vietnam, e poi a Dorso (Spine) un regno montagnoso e innevato, costruito in mezzo a immensi canneti di bamboo nero. L’ultima tappa, dove si gioca la resa dei conti finale, è a Zanna (Fang) la patria di Namaari, per la quale viene scelta un’estetica angolare e verticale, come a sottolinearne l’approccio sovranista e ostile nei confronti del mondo.
Il Ritorno di James Newton Howard
Non è la prima volta che un film dei Walt Disney Animation Studios rinuncia alla tradizione dei grandi musical, abbracciando una differente sensibilità narrativa. Negli ultimi tempi però era accaduto che anche in questa tipologia di film, venisse inserito a sorpresa un brano musicale, come una sorta di “firma occulta”. Era stato così in Bolt, Big Hero 6, Zootopia e persino in Ralph Breaks the Internet. Questa volta no, Raya volta totalmente le spalle a questa tradizione e opta per un tipo di narrazione puramente action e avventurosa, in completa opposizione con il suo predecessore Frozen 2 che aveva tentato invece il connubio tra musical e fantasy epico. La mancanza di un elemento così ben radicato nell’estetica disneyana un po’ si sente, sebbene il film faccia quello che può per spostare l’attenzione su tutt’altro, emulando altri generi. E per certi versi si potrebbe dire che a sostituire i numeri musicali siano proprio le già citate sequenze di combattimento, delle vere e proprie coreografie camuffate.
A compensare questa mancanza è però la scelta del compositore, uno dei più quotati di Hollywood, per la colonna sonora strumentale. Si tratta del bravissimo James Newton Howard che ritorna ai Walt Disney Animation Studios dopo quasi vent’anni dalla sua ultima collaborazione. Howard aveva infatti firmato la partitura di Dinosaur, Atlantis e Treasure Planet durante i primi anni 2000, uno dei periodi più caotici e sperimentali della storia dello studio, dando quindi un fondamentale contributo ai primi passi dei WDAS fuori dal genere musical. Curiosamente questo revival disneyano di Howard coincide con il suo contemporaneo lavoro sul live action Jungle Cruise, ispirato all’omonima attrazione di Disneyland, girato prima della pandemia e uscito pochi mesi dopo Raya. Come sempre, Howard riesce ad azzeccare un buon tema principale in grado di rimanere nella testa dello spettatore. I momenti in cui l’artista dà il suo meglio sono quelli puramente melodici, in cui vediamo Sisu volare, nuotare e godersi i suoi ritrovati poteri, tra una tappa e l’altra del viaggio.
Lead the Way. L’unica canzone che si possa ritenere scritta per il film, è quella che accompagna la prima parte dei titoli di coda e porta la firma della cantante pop Jhené Aiko. A differenza di quanto accadeva in Atlantis, non viene rievocata in nessun momento della partitura strumentale di Howard e rimane fuori dall’effettivo corpo del film. Si tratta di un brano convenzionale e ben poco ispirato, che si fa ricordare solo per le immagini che lo accompagnano, disegni bidimensionali firmati dagli artisti dello sviluppo visivo, che in qualche modo danno indizi sulla sorte dei personaggi dopo l’epilogo del film, una tradizione nata in seno allo Studio Ghibli e propagatasi anche in occidente.
Dalla Sala al Salotto
Raya e l’Ultimo Drago è uno dei lungometraggi Disney più legati alla sua epoca, figlio del rinnovamento culturale che stiamo vivendo e allo stesso tempo vittima del difficile momento che il mondo ha affrontato all’inizio di questi nuovi anni 20. Non è esente da difetti e debolezze, che probabilmente in un clima produttivo normale avrebbero potuto essere aggiustati, ma allo stesso tempo riesce a dire qualcosa di nuovo, senza tradire la propria anima disneyana. Non va sottovalutato il fatto che si sia scelto di andare in questa direzione proprio con un film incentrato su una principessa: se in precedenza si era fatta strada nella mente del pubblico la rigida dicotomia tra musical fiabesco al femminile e avventure per ragazzi di stampo pixariano, qui si fa il possibile per mescolare le carte e boicottare una tradizione divisiva. E questo è forse il risultato più importante di un film nato proprio per favorire l’inclusione e abbattere i pregiudizi.
Abbinato al bellissimo Us Again di Zach Parrish il film avrebbe dovuto uscire nelle sale alla fine del 2020, segnando il grande ritorno al cinema dopo la pandemia e ripristinando per giunta la tradizione del cortometraggio collocato come antipasto prima di un film, che si era interrotta nel 2016 dopo Inner Workings. Tuttavia, la nuova ondata di Covid-19 che colse impreparato il mondo dopo un’estate di tregua, impose uno slittamento a marzo 2021, e infine un’uscita piuttosto limitata, nelle poche sale rimaste aperte in quel periodo difficile. Il vero canale di distribuzione che permise al mondo di vedere Raya fu la piattaforma Disney+, che ospitò il lungometraggio negli stessi giorni della sua uscita “teorica”, rendendolo disponibile agli abbonati dietro il pagamento di un sovrapprezzo. Fu una soluzione temporanea, con cui si tentò di tamponare le perdite, dovute anche al rifiuto di molti cinema di proiettarlo, per contrastare la politica protezionista di Disney volta a valorizzare il proprio servizio di streaming.
Ma al netto delle polemiche il film impressionò positivamente pubblico e critica, costituendo un altro passo nel processo di riaffermazione dei WDAS nel campo del cinema d’animazione. L’approccio usato con Raya caratterizzò il metodo di lavoro anche in seguito, come dimostrato dal lungometraggio successivo, Encanto per il quale venne nuovamente costituito uno Story Trust, questa volta focalizzato sulla rappresentazione della cultura colombiana. Infine, una curiosità: esiste una sequenza non utilizzata nella versione finale di Raya e l’Ultimo Drago ma che i WDAS hanno trovato comunque il modo di mostrare al pubblico, sia pur in modo poco convenzionale. La scena in cui Raya entra nel tempio di Cuore sotto uno sferzante acquazzone è stata infatti inserita nel montaggio di un episodio di Zenimation, la miniserie di Disney+ che propone al pubblico un viaggio rilassante, attraverso una galleria di immagini e suoni ambientali tratti da un secolo di storia disneyana.
Revisione del 30 Ottobre 2022.
di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).
Scheda tecnica
- Titolo originale: Raya and the Last Dragon
- Anno: 2021
- Durata:
- Produzione: Peter Del Vecho, Osnat Shurer
- Regia: Don Hall, Carlos Lopéz Estrada
- Sceneggiatura: Adele Lim, Qui Nguyen
- Musica: James Newton Howard
Credits
Nome | Ruolo |
---|---|
Paul Briggs | Co-regista |
Peter Del Vecho | Produttore |
Don Hall | Regista |
Adele Lim | Sceneggiatura |
Carlos Lopéz Estrada | Regista |
James Newton Howard | Musica |
Qui Nguyen | Sceneggiatura |
John Ripa | Co-regista |
Osnat Shurer | Produttore |
Bibliografia
Sul film:
- K. Hurley, O. Shurer, The Art of Raya and the Last Dragon (2021: Chronicle Books [US]). li>
Eredità:
- Courtney Carbone (adapt.), Tiffany Diep (ill.), Tony Ferejan (design), Raya and the Last Dragon – Little Golden Book (2021: Random House [US]).
Home Entertainment
- [1] Raya and the Last Dragon (2021 BRAY/DVD: Buena Vista Home Entertainment). Ultimate Collector’s Edition (2021 4K-UHD/BRAY: Buena Vista Home Entertainment).
Extra
Documentari
- Taste of Raya [1][Disney+]
- Raya - Bringing it Home [1][Disney+]
- Martial Artists [1][Disney+]
- We Are Kumandra [1][Disney+]
- The Story Behind the Storyboard with John Ripa [1][Disney+]
- Creating Kumandra [Disney+]
- Outtakes [1][Disney+]
- Fun Facts and Easter Eggs [1][Disney+]
Work-in-Progress
- Deleted Scene: The Bridge [1][Disney+]
- Deleted Scene: Escaping Namaari [1][Disney+]
- Deleted Scene: Dragon Blade [Dragon Sword] [1][Disney+]
- Deleted Scene: Meet Boun [1][Disney+]
- Deleted Scene: The Heart of the Dragon [1][Disney+]
Music Video
- Lead The Way - Performed by Jhené Aiko (Music Video) [Disney+]
- Lead The Way - Performed by Jhené Aiko (Karaoke Version) (Music Video) [Disney+]
Promozione
- Raya and the Last Dragon - Official Teaser Trailer [You Tube]
- Raya and the Last Dragon - Official Trailer [You Tube]
- Raya and the Last Dragon - International Trailer [You Tube]
- Raya and the Last Dragon - Virtual Red Carpet Event [You Tube]
- Raya and the Last Dragon - Trailer Reaction [You Tube]
- Raya and the Last Dragon - Big Game Ad [You Tube]
- Raya and the Last Dragon - Bring on the Heat [You Tube]
- Raya and the Last Dragon - Crafting Raya Featurette [You Tube]
- Raya and the Last Dragon - Welcome Kelly Marie Tran [You Tube]
- How to Draw Baby Tuk Tuk [You Tube]
- Draw Tuk Tuk with Fawn Veerasunthorn [You Tube]