Zootropolis

Animali Antropomorfi. Davvero.

Zootopia rappresenta un tassello fondamentale nella storia dei Walt Disney Animation Studios: si tratta infatti dell'intelligente rivisitazione di uno degli aspetti più tipici e nel contempo poco celebrati della tradizione disneyana. Prima ancora di venire identificata come la fabbrica delle fiabe e delle principesse canterine, l'azienda di Walt si era infatti occupata a lungo dei cosiddetti animali antropomorfi. Negli anni 20 e 30 gli animatori non erano ancora in grado di animare figure umane realmente convincenti, e ripiegare sui funny animals rappresentava una prassi consolidata. Figure come Topolino, Paperino e Pippo sarebbero diventate poi vere e proprie icone aziendali, tanto da intraprendere con successo anche la carriera fumettistica, dando così vita a quel patrimonio di storie che al giorno d'oggi amiamo collocare nell'immaginario Calisota. Non si può dire però che tale ambientazione abbia mai reso davvero giustizia alla natura animale di Topolino e soci: gli standard character si muovono infatti in uno scenario urbano alquanto convenzionale e popolato da un risicatissimo numero di specie, spesso del tutto indistinguibili dai normali esseri umani.
L'idea venne invece esplorata assai di più nel 1973, quando gli artisti Disney portarono nei cinema Robin Hood, divertente reinterpretazione zoologica della leggenda anglosassone. In quell'occasione fu possibile finalmente vedere in azione animali di ogni tipologia, inseriti però ancora una volta in uno scenario “a misura d'uomo”. Un ulteriore passo avanti venne compiuto con Chicken Little (2005) in cui fu palese la volontà di approfondire il concetto, mostrandoci una comunità di animali vivere in una realtà borghese che tuttavia teneva conto delle loro peculiarità. Automobili-acquario per i pesci, camaleonti impiegati come semafori viventi e molte altre trovate simili si rivelarono pennellate creative davvero azzeccate, in grado di fornire un assaggio di ciò che avrebbe offerto Zootopia undici anni dopo.
Non sono poche le interviste in cui il regista Byron Howard (Bolt, Rapunzel) afferma di nutrire un amore viscerale per la gloriosa tradizione zoologica disneyana, tanto da averla voluta celebrare degnamente con questo film. Al suo fianco troviamo, in qualità di co-regista, quello stesso Rich Moore che aveva firmato Ralph Spaccatutto (2012), dimostrando di saper gestire la creazione di mondi meravigliosi e iperdettagliati, che nulla hanno da invidiare a quelli concepiti dalla “gemella” Pixar. Il concetto chiave alla base di questo 55° lungometraggio dei WDAS è infatti quello di esplorare una volta per tutte al 100% l'idea degli animali antropomorfi, approcciandosi all'argomento in modo ragionato. Un semplice film di animali di per sé non sarebbe stato niente di nuovo, ma un film sugli animali era tutt'altro discorso, un qualcosa di assolutamente originale. A dire il vero, questo vale per il grande schermo, dato che sulla carta avevamo già avuto il disneyano Jungle Town (Faraci/Cavazzano) e il filodisneyano Blacksad (Canales/Guarnido), fumetti noir ambientati in città in cui le differenti razze animali diventavano il corrispettivo delle etnie umane.
Analizzare il Razzismo

Sin dall'apertura, il film spiega allo spettatore con molta chiarezza le regole di questo mondo. Per la prima volta il concetto di animale antropomorfo non viene dato per scontato, ma illustrato e giustificato in modo efficace: siamo in una realtà in cui gli animali hanno abbandonato i loro istinti primordiali, evolvendo in modo analogo agli esseri umani. Questi ultimi sono del tutto assenti dal film. La storia si focalizza sui mammiferi, lasciando da parte gli uccelli, gli insetti e i pesci, che si suppone facciano ora le veci degli “animali effettivi”. In questa utopia animale non è però tutto roseo, e rimane traccia delle antiche rivalità: gli ex predatori vengono visti con diffidenza, e le ex prede difficilmente riescono a vincere le loro inibizioni e a imporsi nella società. La protagonista è Judy Hopps, una coniglietta poliziotta che tenta disperatamente di emergere in un ambiente dominato da animali di grossa taglia. A farle da spalla in questa sua prima indagine troviamo la volpe Nick Wilde, una simpatica canaglia che vive di espedienti e che la accompagnerà con riluttanza alla scoperta della verità.
Non si può dire che il genere poliziesco sia uno dei più bazzicati dall'animazione disneyana, dato che raramente in passato il noir ha dato alla company grosse soddisfazioni in termini monetari. Eppure, dopo Big Hero 6, i WDAS propongono immediatamente un'altra storia procedurale, correndo un rischio notevole. A differenza dei tradizionali musical fiabeschi o delle commedie pixariane, il giallo è da sempre un genere ostico e poco universale, più adatto al cinema live action che all'animazione per famiglie. Le sue asperità narrative vengono però elegantemente dissimulate dall'abilità degli artisti Disney, che riescono a valorizzare l'indagine di Judy e Nick in modo a dir poco virtuoso. Ogni tappa del loro tour investigativo rimane infatti scolpita nella memoria, grazie alla straordinaria bellezza dei singoli quartieri cittadini, capaci di dare allo spettatore l'illusione di star visitando un parco a tema. Le squallide atmosfere urbane lasciano il posto a delle rigogliose oasi naturali su cui sono state costruite in modo armonioso le strutture abitative, e questo non fa che esaltare ulteriormente il sense of wonder, restituendo al film l'anima fiabesca tanto cara al pubblico. A completare un quadro molto positivo troviamo un umorismo davvero efficace, basato sui parallelismi fra la società umana e quella animale, e valorizzato dall'impeccabile recitazione dei personaggi.
Il film è interessante inoltre dal punto di vista strutturale. La trama è piuttosto semplice, ma si articola attraverso due fasi distinte: nella prima l'indagine viene solo parzialmente risolta, per lasciar spazio ad un sorprendente “lato b” in cui la narrazione e i contenuti acquisiscono una maggior profondità. Il caso su cui Judy si ritrova a indagare è infatti strettamente connesso con il tema stesso del film: una strana epidemia sta riportando alcuni animali allo status selvaggio, privandoli del loro antropomorfismo. Con molta intelligenza, Howard e Moore usano il genere giallo come mezzo per affrontare pienamente l'idea base, sviscerandola come mai prima d'ora era stato fatto in casa Disney. Le riflessioni a cui questo conduce non sono per niente banali: la paura del diverso, il razzismo e il pregiudizio indotto da agenti esterni, tematiche già affrontate in Pocahontas (1995) e Il Gobbo di Notre Dame (1996), vengono qui ricondotte al nostro secolo. Sequenze come quella in cui il ghepardo pacioccone Clawhauser viene trasferito dalla reception all'archivio per evitare un danno d'immagine al corpo di polizia, o quella in cui vediamo una tigre giocare col tablet in metropolitana mentre una madre coniglia tira verso di sé il proprio cucciolo con diffidenza, mostrano situazioni molto vicine al nostro vissuto e quindi alla sensibilità attuale. In un momento storico come quello che stiamo vivendo, in cui l'allarme terrorismo ha profondamente mutato la nostra società, un film come Zootopia dimostra di aver molto da dire e di sapere come dirlo.
Questione di Worldbuilding

A sconvolgere, in Zootopia, è principalmente il comparto visivo. Si è già visto nell'ultimo decennio come i Walt Disney Animation Studios abbiano fatto di necessità virtù, impadronendosi letteralmente di una tecnica d'animazione a loro estranea e piegandola con successo ai propri canoni estetici. Ancora una volta il fotorealismo viene quindi snobbato per far spazio a tutt'altro approccio artistico, sotteso a mostrarci la realtà non come è, ma come sarebbe bello che fosse. Laddove la San Fransokyo di Big Hero 6 rinunciava solo a tratti alla sua sporca atmosfera urbana, regalandoci un numero limitato di sequenze notevoli dal punto di vista cromatico, qui l'eccezione diventa la regola e si viene catapultati in una coloratissima città, che assomiglia ad una galleria di quadri meravigliosi. Si può dire quindi che la metropoli sia la vera protagonista di Zootopia, data la sua capacità di sorprendere sia sul piano puramente visivo che su quello strutturale. Il segreto di tanta bellezza sta nella suddivisione dei quartieri in aree tematiche, che rispecchiano l'habitat delle diverse specie animali.
Si ha così il quartiere desertico (Sahara Square), il microscopico ghetto dei topi (Little Rodentia) e il variopinto centro cittadino (Savana Central). Il tocco da maestro sono però l'area polare (Tundratown) e quella dedicata alle foreste pluviali (Rainforest Discrict), luoghi di grandissima atmosfera in cui avvengono alcuni importanti snodi della trama, capaci di espandere notevolmente l'orizzonte estetico del film. Non stupisce, poi, che esistano sulla mappa della città un paio di quartieri (Meadowlands e Outback Island) che non vengono visitati dai personaggi nel corso del film. L'idea, si capisce, è quella di creare un mondo credibile e articolato, in grado di reggere non un solo lungometraggio ma l'intero franchise che ne potrebbe scaturire. In caso di successo dell'operazione si avrebbe così materiale concreto da approfondire, in caso contrario tutto questo sarebbe servito comunque a comunicare allo spettatore la sensazione di star esplorando un mondo ben costruito.
Un altro aspetto che lascia sbalorditi è il design dei personaggi. I WDAS sono famosi per esser riusciti a risolvere uno dei problemi che da sempre attanagliavano l'animazione computerizzata, ovvero la realizzazione di esseri umani convincenti. La soluzione l'aveva trovata il leggendario Glen Keane in Rapunzel (2010) ponendosi alla guida del team di animatori CGI, rifinendo e raffinando quanto possibile i modelli e i movimenti dei personaggi. Da quel momento in poi utilizzare i pochi disegnatori rimasti allo studio nel ruolo di “lead 2D animator” è diventata una prassi consolidata, con notevoli vantaggi sul fronte artistico. Si ricorda a questo proposito il ruolo di Mark Henn in Frozen (2013) e di Alex Kupershmidt (già supervisore di Stitch) proprio in Zootopia. Applicare tale procedimento anche agli animali, da sempre cavallo di battaglia sia della CGI che dell'arte disneyana, produce effetti davvero spettacolari. Il film presenta un cast enorme di varie specie, tutte perfettamente riuscite e dotate di un appeal formidabile. Kupershmidt e il suo team di artisti si dimostrano abilissimi nel riuscire a reinterpretare in tre dimensioni quegli stessi tocchi che fanno parte dello stile Disney sin dagli anni 60. La lezione di capolavori quali Il Libro della Giungla (1967), Pomi D'Ottone e Manici di Scopa (1971) e Robin Hood (1973) è ben presente, e basta osservare gli animali più grossi o caricaturali come gli elefanti, le pantere, i bufali e i leoni per rendersi conto dell'imponente eredità artistica di cui questo film sceglie di farsi portabandiera.
Shakira

Non c'è alcun dubbio che Michael Giacchino sia uno dei compositori che si è maggiormente distinto in casa Disney durante questi anni. Difficile dimenticare infatti la meravigliosa colonna sonora di Lost (2004) o la partitura di alcuni dei più bei film Pixar. Molto meno noto è il suo lavoro ai Walt Disney Animation Studios, per cui ha scritto la musica di alcuni bei cortometraggi: Pippo e l'Home Theater (2007), La Ballata di Nessie (2011) e la serie natalizia di Prep and Landing (2010). Non era mai successo prima, però, che il compositore venisse chiamato a lavorare alle strumentali di un lungometraggio WDAS, per cui Zootopia costituisce un precedente assoluto per la sua carriera. Il risultato è chiaramente buono, data la grande esperienza di Giacchino con il genere spionistico (si pensi ad Alias o a Gli Incredibili), tuttavia rimane piuttosto convenzionale ed è quindi molto difficile che tali note rimangano scolpite nella memoria. Purtroppo l'impressione è che, a fronte di una sempre maggior valorizzazione dell'eredità grafica disneyana, qualcosa si stia perdendo sul fronte musicale. È chiaro che il desiderio degli studios sia quello di sfuggire alla formula che aveva caratterizzato gli anni 90, per abbracciare generi sempre diversi, e questo in un certo senso è lodevole.
Il rischio è però che questa illusione di libertà finisca paradossalmente per imprigionare i film all'interno di formule codificate da altri, alimentando lo stereotipo che vuole che il genere musical vada a braccetto con la fiaba anziché con la commedia e l'azione. Al di là del legittimo timore che questa tendenza a elevare barricate possa diluire l'identità dello studio, va detto però che in Zootopia è presente una sequenza musicale. Si tratta chiaramente di un “contentino”, abitudine che è entrata in uso allo studio già da un po' di tempo: Il Pianeta del Tesoro (2002), Bolt (2008) e Big Hero 6 (2014), pur non essendo dei musical, contenevano tutti un numero musicale, rimarcando in questo modo la loro appartenenza alla tradizione disneyana. A cantare il brano questa volta troviamo Shakira, coinvolta nella produzione a tal punto che gli autori hanno inserito nella storia un personaggio da farle doppiare: la cantante-attivista Gazelle. Questa figura non si limita solo ad essere una marchetta, ma ha un ruolo anche nella trama, dato che il suo esibirsi con un corpo di ballo formato da muscolosi tigroni la mette al centro della polemica contro i predatori. Inoltre, la presenza di una diva pop a cui i personaggi fanno spesso riferimento, aiuta a irrobustire l'illusione di trovarsi in un mondo cesellato in ogni dettaglio.
- Try Evererything - La canzone cantata da Shakira è sicuramente molto notevole. La possiamo ascoltare per intero nella strabiliante scena in cui vediamo Judy arrivare in città, percorrendo i diversi quartieri a bordo della metro, e trascinando così lo spettatore all'interno di questo suggestivo affresco animale. Al di là delle immagini, bisogna riconoscere che anche il testo è veramente valido, e rappresenta un invito a non demordere, perseverando malgrado le mille difficoltà che la vita ti pone innanzi. È una morale che potrebbe apparire scontata, ma non lo è affatto e rappresenta uno dei punti focali di quel modo di pensare ottimista, da sempre alla base della filosofia disneyana. Si tratta inoltre di una delle tematiche principali del film, visto che riguarda da vicino Judy e la sua lotta per emergere in una società ancora piena di pregiudizi. La canzone è presente nel film anche una seconda volta, ovvero all'inizio dei titoli di coda, nella scena in cui vediamo i personaggi al concerto di Gazelle, e offre così agli animatori il pretesto per mostrarci le belle coreografie di questa Shakira animata.
Il Topo e la Lampada

Un film come Zootopia non fa che dimostrare l'altissimo livello raggiunto dai Walt Disney Animation Studios, capaci oramai di proporre al pubblico film anche molto eterogenei, senza mancare mai il bersaglio. Le sbavature di Big Hero 6 sono ormai acqua passata, e in generale è finito il tempo in cui sembrava che certe tipologie di film fossero precluse allo studio: il circolo virtuoso in cui i WDAS sono entrati durante la gestione Lasseter sembra ormai inarrestabile e i risultati al botteghino conseguiti da Nick e Judy sembrano confermare questo ottimo trend. Lo studio ha acquisito una confidenza tale da inserire oramai un gran numero di easter eggs all'interno dei suoi film: il più eclatante in questo caso è la gag che riguarda i loschi traffici del ladruncolo Duke Weaselton. Oltre ad avere la voce di Alan Tudyk, habitué ormai dello studio, e sfoggiare un nome quasi identico a quello di un altro personaggio doppiato da Tudyk per Frozen (2013), nella sua bancarella abusiva troviamo i dvd piratati dei più recenti Classici Disney, compresi quelli di prossima uscita (Moana, Gigantic e Frozen 2), tutti brillantemente storpiati.
Questa tendenza autocelebrativa non fa che ricordare il modus operandi della Pixar, da sempre molto attenta a far passare il concetto che ogni sua produzione sia collegata alle altre da un robusto filo rosso. Da tempo ormai i WDAS hanno cessato di essere la Cenerentola della Company, diventando lo studio di punta, ed è interessante riflettere su quale potrebbe essere invece il ruolo della Pixar nello scenario che si sta delineando. Film come Ralph Spaccatutto (2012) e Zootopia dimostrano come ormai la Lampada sia stata eguagliata dal Topo nella creazione di mondi paralleli, per essere addirittura superata sul versante grafico e talvolta anche narrativo. Ad oggi è molto difficile pensare al futuro dello studio di Emeryville senza mettere in conto la crescente importanza di quello che si candida a diventare il suo rivale più coriaceo. In tale ottica, è indicativo che il grosso della filmografia Pixar sia ora costituito da sequel, sebbene anche i WDAS abbiano imboccato questa strada, come dimostrano i piani aziendali per il franchise di Frozen. Certo è che pochi film chiedono a gran voce una prosecuzione in qualche forma più di Zootopia: la città degli animali è ancora là, tutta da esplorare, ed è pronta ad offrire al pubblico meraviglie visive e narrative anche superiori di quanto si sia mai visto nei dintorni dell'ormai vecchio Calisota.


di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica
- Titolo originale: Zootopia
- Anno: 2016
- Durata:
Credits
Nome | Ruolo |
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