Walt Disney
Fattoria e Ferrovia
Walter Elias Disney nasce a Chicago il 5 dicembre 1901. Figlio di Elias Disney e Flora Call, fra il 1906 e il 1910 vive a Marceline, nella campagna del Missouri, dove la famiglia si è trasferita al seguito dello zio paterno Robert Disney. Gli anni di Marceline segnano profondamente l'immaginario di Walt, fra atmosfere bucoliche e... treni. Marceline era stata infatti fondata dalla Atchison, Topeka and Santa Fe Railroad come raccordo sulla linea Kansas City-Chicago. Walt trascorrerà molto tempo con lo zio Mike Martin, macchinista di Santa Fe, consolidando la propria proverbiale passione per i treni e le ferrovie che lo accompagnerà per tutta la vita.
Nel 1910 la famiglia trasloca a Kansas City, dove Walt, ancora bambino, insieme al fratello Roy aiuta il padre nella sua impresa di distribuzione di giornali. Sono anni duri e faticosi, un cupo contraltare rispetto alla luminosa infanzia a Marceline. Walt vive un'adolescenza irrequieta, fra le lezioni della Benton Grammar School prima e della McKinley High School poi (e della Chicago Academy of Fine Arts, dove segue lezioni serali), e una passione poliedrica per il disegno, il teatro e il cinema che ne palesa la precoce inclinazione verso una concezione eclettica e trasversale dell'intrattenimento. Nel 1917 si arruola nella Croce rossa, mentendo sulla propria età, e si reca sul fronte della Prima guerra mondiale come guidatore di autoambulanze.
Di ritorno dal Vecchio Continente martoriato dalla guerra, si aprono anni incerti nei quali il giovane Disney si troverà diviso fra la ricerca di un lavoro per guadagnarsi da vivere e l'insopprimibile desiderio di seguire la propria passione per... l'arte? Il cinema? Il teatro? Walt avrebbe ammesso negli anni successivi di aver sognato di fare l'attore e di aver partecipato a più di un provino nei teatri di Kansas City, ma non sarebbe passato molto tempo prima che il suo talento emergesse come decisamente più multiforme e difficile da incanalare in un mestiere specializzato come quello dell'attore o del disegnatore. Walt sentiva di non essere un ingranaggio, ma il macchinista di una grande, complessa locomotiva che ancora non esisteva. Era necessario trovare un modo per costruirla.
The Silent Era
Interessato all'animazione, Walt debutta come produttore di corti animati con i Laugh-O-Grams, letteralmente “fotogrammi da ridere”. Walt realizza i primi Laugh-O-Grams in un garage di Kansas City insieme all'amico Ub Iwerks per conto del locale Newman Theatre, ente interessato a vignette satiriche su alcuni temi di attualità. Il successo dei Laugh-O-Grams è sufficiente a convincerlo a fondare una società di produzione autonoma: nel 1921 apre i battenti il Laugh-O-Grams Studio, che si specializzerà in dissacranti rivisitazioni di fiabe popolari. Nel 1923, tuttavia, dopo soli sette corti, questa prima società andrà in bancarotta, in seguito ad alcune scelte infelici di Walt, dovute a un certo grado di inesperienza. Nello stesso anno, però, il fratello Roy invita Walt a raggiungerlo a Los Angeles. Qui i due fondano il Disney Brothers Studio, l'embrione della futura Walt Disney Company. Non a caso, ancora oggi l’azienda utilizza il 1923 come punto di partenza ufficiale della grande avventura hollywoodiana, senza contare i fallimentari anni di Kansas City.
Nel frattempo, Walt ha fatto tesoro dell'esperienza con i Laugh-O-Grams e decide di esplorare una frontiera appena intuita a Kansas City, l'ibridazione animazione e live-action, la cosiddetta “scrittura mista”. Le Alice Comedies – nelle quali una bambina in carne e ossa interpreta una “Alice” liberamente ispirata alla protagonista di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, alle prese con personaggi animati – sono un carosello di sequenze comiche e surreali dove l'animazione acquisisce un ruolo sempre più preponderante rispetto alla componente live-action. Alcuni personaggi, come il gatto Julius, cominciano a essere ricorrenti, ponendo le basi di ciò che vedremo a partire dal 1927, quando le Alice Comedies verranno definitivamente abbandonate, a favore di una nuova serie del tutto animata.
Debutta così Oswald the Lucky Rabbit, dimostrazione lampante del talento e del genio grafico dell'amico disegnatore e animatore Ub Iwerks, che nel frattempo lo ha raggiunto a Hollywood, ma anche oggetto di una delle delusioni più cocenti di Walt. Il distributore Charles Mintz detiene infatti i diritti del personaggio e costringe Walt a rinunciarvi, sottraendo il Coniglio Fortunato allo studio con un vero e proprio colpo basso a base di compensi irrisori e accordi sottobanco con gli stessi collaboratori di Disney. Walt con profonda amarezza constata di non avere scelta: deve rinunciare a Oswald e a buona parte del suo staff. Insieme a Ub Iwerks cerca così di arginare il danno creando un nuovo personaggio per i propri corti, uno scanzonato topo dal design molto simile a quello di Oswald: Mickey Mouse.
Il Decennio Ruggente
New York. Universal's Colony Theatre. È il 18 novembre 1928. Gli spettatori stanno per assistere a un evento che cambierà per sempre la storia del cinema: la proiezione di Steamboat Willie, il primo corto animato accompagnato da una colonna sonora sincronizzata. Ma sebbene venga ricordato come l’esordio ufficiale di Topolino, è in realtà il terzo corto prodotto con il “surrogato” di Oswald: gli altri due, Plane Crazy e The Gallopin' Gaucho, entrambi proiettati nel corso dello stesso anno, verranno sonorizzati e ridistribuiti su larga scala poco tempo dopo. Mickey rappresenta una rivincita, il tentativo di rimediare all'errore compiuto con Oswald e di rialzarsi con le proprie forze. La proprietà intellettuale questa volta non viene affidata ad alcun soggetto esterno, il rischio che si ripeta il trauma del Coniglio Fortunato è così scongiurato. E Mickey non sarà simbolo di rinascita solo per Walt e i suoi dipendenti. Il Topo riscuoterà un immenso successo presso il pubblico statunitense. Il suo piglio di adorabile scavezzacollo lo rende un simbolo particolarmente amato dall'America del New Deal del presidente Roosevelt che cerca di riaversi dalla Grande Depressione, gli spettatori si riconoscono e si immedesimano in lui, anche grazie all’epopea parallela che nel frattempo Floyd Gottfredson gli sta costruendo nelle strisce a fumetti destinate ai quotidiani.
Ma Walt non ha intenzione di riposare sugli allori: i lauti guadagni gli consentono di osare sempre di più. È determinato a costruire la locomotiva ingranaggio dopo ingranaggio, e il suo gioco ad alzare l'asticella della qualità dell'intrattenimento è sempre più evidente. Il modus operandi sviluppato da Disney nel corso degli anni '30 tradisce un amore viscerale verso il medium utilizzato. L'animazione permette a Walt di realizzare una sintesi di forme artistiche, coordinando e unendo trasversalmente tutte le sue passioni. Il cinema. Il disegno e l'arte della caricatura. La recitazione, per la quale vengono elaborati nuovi codici espressivi, al fine di coinvolgere emotivamente lo spettatore nelle vicissitudini di un personaggio disegnato. Il design di ambienti e nuovi mondi, che comincia nell'amore di Walt per modellini e diorami e in futuro conoscerà traguardi al limite del parossismo con Disneyland e il progetto EPCOT. La musica non come accompagnamento ma come parte integrante della grammatica cinematografica.
A partire dal 1932 la serie delle Silly Symphonies, le “Sinfonie Sciocche”, inaugurata nel 1929 con La Danza degli Scheletri (The Skeleton Dance) e incentrata proprio sulla sincronia coreografica fra musica e animazione, registra un ulteriore passo avanti nelle ambizioni di Walt: l'uso del colore, che spalanca nuove, immense possibilità e cambia ancora una volta le regole del gioco. Fiori e Alberi (Flowers and Trees) è il primo corto a colori della storia e il primo cortometraggio (non solo animato) a fare uso del sistema Technicolor, di cui Walt deterrà l'esclusiva fino al 1935. Si potrebbero spendere centinaia di pagine esaminando nel dettaglio tutte le prospettive del linguaggio artistico disneyano, dal concetto di personality animation all’invenzione della multiplane camera. In buona parte è già stato fatto. Ma non va dimenticato che nella visione di Walt queste prospettive non erano nettamente divise, anzi, coincidevano insieme nella stessa sostanza, nello stesso momento. Walt arriva per primo al sonoro sincronizzato, al Technicolor, al lungometraggio animato, al FantaSound (il precursore della stereofonia cinematografica) perché tallona il progresso della tecnologia per avvicinarsi sempre di più alla sua dimensione ideale, nella quale molte forme d'arte convergono in uno spettacolo universale. Disegno, recitazione, musica, colore sono gli ingranaggi della locomotiva e non possono essere isolati nettamente gli uni dagli altri: sono pensati e costruiti per funzionare insieme.
La Follia di Disney
Il 21 dicembre 1937 debutta al Carthay Circle Theatre di Los Angeles Biancaneve e i Sette Nani (Snow White and the Seven Dwarfs), il primo lungometraggio animato della storia. Il progetto che era stato soprannominato Disney's Folly, “la follia di Disney”, dimostra che non solo è fattibile per lo spettatore assistere a più di un'ora di animazione, ma che ci si può commuovere per una storia inscenata da personaggi disegnati. I mezzi per ottenere questo risultato, molto diversi da quelli impiegati in un film live-action, sono frutto degli anni di studio e sperimentazione che hanno reso possibile il florilegio delle Silly Symphonies e degli shorts con protagonisti Mickey Mouse e Donald Duck (la serie dedicata a Pluto debutterà a partire dallo stesso 1937 di Biancaneve). Nel marzo del 1938, intervistato da Douglas Churchill per il New York Times, Walt dichiara che “Il nostro principale obiettivo è sviluppare nei personaggi dei nostri cartoon personalità ben definite […] Noi li investiamo della vita dotandoli delle debolezze umane, che esageriamo in chiave umoristica. Piuttosto che in una caricatura di persone reali, il nostro lavoro consiste in una caricatura della vita”. Pensare che per rendere credibili dei personaggi animati si possano banalmente replicare i codici espressivi degli attori in carne e ossa è un'ingenuità: è necessario affinare un'arte sostanzialmente diversa, nuova, verso la quale ancora in molti si mostrano scettici.
Nel gennaio 1938 il critico Otis Ferguson scrive di Biancaneve per New Republic: “C'è comunque questo da dire, su Disney: egli è amato da pubblici di tutte le età, però noi gli accordiamo la licenza artistica e la possibilità di semplificazione che si accorda a coloro che raccontano storie per bambini, dato che in origine è a questo che il suo mezzo espressivo era votato. Non è semplice inventarsi cose divertenti per i bambini; ma il più complesso campo dei sentimenti adulti è molto più esigente nelle sue richieste”. Questa critica rientra in un duplice filone di scetticismo, quello che in realtà nasconde il timore che l'animazione raggiunga vette espressive tali da mettere in ombra il cinema live-action e quello che guarda l'animazione dall'alto verso il basso come medium destinato a un pubblico infantile. A quest'ultima critica Walt, pur mostrando talora segni di sofferenza, risponderà sempre con solidità: il suo target è del tutto trasversale. “Devi mirare agli adulti. Gli adulti hanno i soldi, i bambini non ne hanno”, dirà ridendo a un intervistatore di BBC Tonight nel 1959. Walt è l'inventore del cinema per famiglie, un prodotto universale che possa meravigliare e rapire persone di tutte le età. “Ce n'è per tutti”, come ironizza nel 1950 una striscia di Al Taliaferro con protagonisti Paperino, Paperina e Qui, Quo e Qua.
Biancaneve e i Sette Nani sbanca al botteghino, superando ogni aspettativa. Nei primi nove mesi del 1938, più di 4 milioni di dollari dell'epoca rimpinguano le casse dello studio, convincendo Walt a trasferire la sede da Hyperion Avenue a Burbank, in un nuovo edificio progettato per garantire il massimo comfort ai dipendenti. Qualcuno troverà la sede di Burbank perfino straniante per la sua accentuata perfezione architettonica che sembra rispondere più a un ideale di Walt che non alle reali necessità degli animatori e degli altri lavoratori. Questo senso di crescente distacco fra i dipendenti e Walt confluirà insieme ad altri strascichi di malcontento nello sciopero del 1941, che sarà uno spartiacque fondamentale nella carriera e nella vita del cineasta.
In Stato di Grazia
Nel 1940, Pinocchio e Fantasia portano alle estreme conseguenze la “follia di Walt”. La locomotiva dell'animazione non ha mai conosciuto un simile stato di grazia. Da una parte Pinocchio raggiunge vette estetiche che forse non saranno mai più eguagliate, dall'altra Fantasia è la celebrazione definitiva della formula ideata con le Silly Symphonies: il matrimonio più intenso fra immagini, recitazione, racconto e musica che sia mai stato proiettato sul grande schermo. Per rendere più immersiva l'esperienza sensoriale di Fantasia Walt brevetta il FantaSound, antenato diretto della stereofonia cinematografica odierna.
Ma l'onda dell'euforia seguita al successo di Biancaneve e i Sette Nani si arresta sullo scoppio della Seconda guerra mondiale, che impedisce a Walt di esportare i film sul mercato estero, e sulla reazione mediamente tiepida del pubblico e dei critici a Fantasia. Questa pietra miliare rappresenta in effetti il superamento di una soglia critica da parte di Walt, un film molto avanti per i propri tempi che si getta in uno slancio estetico talmente potente da rischiare di perdere per strada lo spettatore occasionale. Con due ore e quattro minuti di durata, è ancora oggi il film di animazione più lungo mai prodotto da quelli che oggi sono i Walt Disney Animation Studios. Costato quasi 2.300.000 dollari dell'epoca, Fantasia sul breve periodo ne incassa appena 325.000, mettendo a serio rischio le finanze dell'azienda.
Il dittico Pinocchio-Fantasia rappresenta un momento artistico irripetibile: le spese per le produzioni in corso verranno ridimensionate in modo drastico. La crisi trapela dallo stile nettamente più sintetico e dalla breve durata del lungometraggio successivo, Dumbo, che a fronte del budget relativamente basso farà buona presa sul pubblico, ridando respiro allo studio. Poi verrà il turno di Bambi, ambiziosamente concepito nei giorni di massima soddisfazione per i risultati di Biancaneve ma ultimato ormai fuori tempo massimo per poterne replicare adeguatamente il successo.
Lo Sciopero del '41
Nel 1941 una somma di problematiche, fra cui le crescenti tensioni economiche, porta numerosi dipendenti ad aderire a un grande sciopero di settore, evento che destabilizzerà profondamente Walt. Lo sciopero del '41 segnerà per lui un trauma vero e proprio, causando una frattura con il mondo dell’animazione, un allontanamento vissuto con delusione, rancore e sfiducia nei confronti dei dipendenti che dal suo punto di vista lo avevano tradito. Nel corso del tempo sono state avanzate diverse interpretazioni sulle ragioni dello sciopero e della reazione di Disney. Sulle ragioni, troppo complesse da analizzare qui, rimandiamo ad altre sedi. Sulla reazione di Walt, che più o meno a quest'altezza della sua carriera comincia ad attirare sulla propria figura i pregiudizi più atroci e disparati, è bene soffermarsi, per capirne meglio la figura e fugare dubbi e dicerie, spesso nati da un’interpretazione maliziosa della sua opera.
Walt non è un truce capobastone, né un granitico capitalista affamato di denaro. La sua noia nel gestire la questione economica è tale che del lato finanziario si occupa in gran parte il fratello Roy, passato alla storia come The Moneyman, “l'uomo dei soldi”. Ma soprattutto: non è un cinico. È prima di tutto un uomo ingenuo, che tende a dare per scontato che le proprie idee siano condivise dai suoi dipendenti, che proietta se stesso e il proprio vulcanico ottimismo su chi gli sta davanti, non riuscendo sempre a realizzare l'alterità dell'interlocutore, la sua sostanziale diversità.
Walt reputa di aver dato tutto per i propri dipendenti. Pensa ad esempio che il nuovo, lussuosissimo studio di Burbank rappresenti per i lavoratori un eccezionale salto di qualità, ma non si rende conto che questo “salto di qualità” è tale... per lui, per i suoi canoni personali, e che per tanti può semplicemente non avere importanza. Walt ha probabilmente difficoltà a gestire la pluralità delle persone, dei bisogni e delle idee, a interfacciarsi con essa, accumulando tensioni delle quali non capisce la portata. Un peccato di ingenuità, di paternalismo, di rancore nei confronti di una molteplicità di istanze per lui forse inafferrabile, ma certamente non di cinismo. Valutare Walt attraverso il filtro del cinismo significa perdere di vista il significato del suo operato nella sua totalità, che con il cinismo è incompatibile da qualunque prospettiva si cerchi di analizzarlo.
Volando Via dal Passato
Con lo sciopero del '41 finisce idealmente l’epoca pionieristica di Disney nel settore animazione, e proprio durante quelle settimane di rivolta arriva dal governo americano la proposta di recarsi in Sud America come ambasciatore. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Walt si ritrova a dover gestire una serie di progetti volti a sostenere l'impegno degli USA nel conflitto. La popolarità dei prodotti e dei personaggi degli Studios è tale da aver attratto le attenzioni del governo sull'opportunità di coinvolgerli in un'intensa opera di comunicazione e propaganda. Così nell’estate del 1941, Walt, insieme a un numero ristretto di artisti soprannominato “El Grupo”, abbandona il guazzabuglio di Burbank lasciando al fratello Roy il compito di pacificare la contesa, volando in America Latina, al fine di produrre materiale cinematografico che rappresenti la cultura, i costumi, le tradizioni dell'America meridionale in chiave positiva e conciliante. Il progetto del “Grupo” fa parte di una serie di sforzi diplomatici volti a impedire che i paesi del Sud America si disallineino dagli Alleati in favore dell'Asse. Nascono così i lungometraggi Saludos Amigos (1943) e I Tre Caballeros (The Three Caballeros, 1945). Ma il contributo più importante di Walt alla causa, mentre il governo impone allo studio la produzione di corti propagandistici per rinfocolare il sostegno popolare all'impegno americano nella guerra e materiale animato formativo destinato esclusivamente alla visione dei soldati in preparazione, è in realtà volontario.
Alla celebre passione per i treni Walt accompagna anche un forte amore per l'aviazione: gli aerei tornano spesso nei suoi prodotti fin dagli albori, da quel Plane Crazy che nel 1928 vide il debutto di Mickey Mouse sul grande schermo (speculare all'esordio fumettistico del 1930, dove Mickey nella prima striscia disegnata da Ub Iwerks dichiara a gran voce di voler emulare il pioniere Charles Lindbergh e si imbarca in un'improbabile avventura aerea insieme a Minni), alla famigliola di aerei postali di Saludos Amigos, fino alle installazioni a tema aerospaziale di Disneyland e i relativi documentari, che vedranno Walt collaborare in prima persona con l'ingegnere tedesco Wernher Von Braun, figura chiave dell'industria aerospaziale e missilistica che porterà l'uomo sulla Luna. “Desiderava volare. […] Ne parlava in continuazione. […] Voleva sempre entrare in un aeroplano e volare” , ricorderà la figlia Sharon Disney nel 1968. Di ritorno dall'America Latina Walt legge il saggio Victory Through Air Power (Vincere tramite la supremazia aerea), pubblicato nel 1942 dall'aviatore russo naturalizzato statunitense Alexander P. de Seversky, nel quale è esposta la tesi che l'invenzione dell'aeroplano abbia sconvolto le modalità della guerra, introducendo un nuovo elemento: l'aria.
Seversky sostiene che con la messa a punto dei bombardieri a lungo raggio tutto il pianeta sia diventato un unico, sconfinato potenziale campo di guerra. Le potenze dell'Asse, nel 1942 ancora pressoché imbattibili via terra e via mare, possono essere sconfitte penetrando lo spazio aereo con grandi bombardieri a lungo raggio, contro i quali la Germania nazista e il Giappone non possiedono ancora misure adeguate. È questione di tempo. Walt è folgorato dall'intuizione e impone allo studio la lavorazione di un lungometraggio eponimo, Victory Through Air Power, con la collaborazione dello stesso Seversky, nel quale dopo una rapida carrellata sulla storia e l'evoluzione dell'aviazione il problema viene enunciato con urgenza. E l'urgenza è il sentimento preponderante di Walt nel distribuire il lungometraggio nei cinema americani, arrivando a forzare il lavoro negli Studios e a cambiare distributore in seguito al rifiuto del tradizionale partner RKO Radio Pictures: Victory Through Air Power ad oggi risulta l'unico fra i lungometraggi prodotti da Walt Disney a essere stato distribuito da United Artists. Questo film costituisce una pietra miliare per diverse ragioni: perché è davvero uno sprone per l'esercito degli Alleati a potenziare l'utilizzo dei bombardieri a lungo raggio contro l'Asse. Perché rappresenta l'inizio di una lunga tradizione di film, animati e non, a scopo divulgativo ed educativo, che sarebbe stata ampiamente sfruttata dalla Disney anche dopo la morte di Walt. Infine, con questo improvviso cambio di focus, Walt scopre le carte e rivela la temporanea rottura della sua storia d’amore con il tradizionale cinema di animazione.
La Terza Dimensione
Disilluso dopo l'insuccesso di Fantasia, lo sciopero del '41 e il tumulto bellico, Walt lascia lo studio a lavorare in progressiva autonomia, spostando il proprio interesse altrove. Sono gli anni dei package film, le pellicole costituite da segmenti episodici che negli anni successivi saranno spesso “spacchettati” e redistribuiti come cortometraggi. Fra i film di questo periodo tuttavia vale la pena di segnalare l'opera in scrittura mista Tanto Caro al Mio Cuore (So Dear to My Heart), distribuita nelle sale nel 1949, che riprende atmosfere neanche troppo velatamente correlate con quelle conosciute e amate da Walt durante la propria infanzia a Marceline. Tanto Caro al Mio Cuore è importante anche perché il ruolo sempre più marginale dell'animazione anticipa quello che sarà uno dei nuovi interessi di Walt nel decennio a venire: il cinema live-action.
Alla fine degli anni '40 il reparto animazione sta mettendo in cantiere Cenerentola, che segnerà un rinascimento animato tanto acclamato dal pubblico quanto ormai poco appassionante per Walt. È cominciata l'epoca dei nine old men, gli animatori veterani degli Studios che ora si sobbarcano di fatto l'identità artistica dei film sulle proprie spalle. Il fondatore si allontana dal medium che gli ha dato notorietà per dedicarsi all'approfondimento della costruzione di modellini e diorami. Ritaglia uno spazio per sé nell'officina degli Studios, dove vengono riparate cineprese e apparecchiatura fotografica. Rannicchiato nel viavai dei dipendenti, Walt lavora alla realizzazione di modellini dei suoi amati treni e di miniature di varia ispirazione.
Roger Broggie, il responsabile dell'officina, ricorderà questa fase in un'intervista con Richard G. Hubler nel 1968: “Un giorno disse: […] 'sai, mi fa bene ogni tanto venire quaggiù e rendermi conto che non sono il signor so tutto io'.” Ma è proprio in officina che il funzionamento peculiare di Walt viene messo a nudo. “Aveva una memoria pazzesca”, avrebbe ricordato Marc Davis. “Imparava molto rapidamente […] Non tutti sono fatti così. Penso che questo fosse un problema che aveva rispetto a tutti […] la sua formidabile memoria e capacità di apprendimento. Non si era formato sui libri ma era, a suo modo, la persona più fantasticamente erudita in assoluto. […] Ogni cosa era come un nuovo giocattolo. E ciò faceva di lui anche un uomo molto impaziente. Era oltremodo insofferente con chiunque si trovasse a lavorare con lui”. Proprio in quell'officina, fra trenini e miniature, sta prendendo forma un nuovo grande sogno: con i modellini forgiati a mano da Walt sta nascendo Disneyland.
Tra Nostalgia ed Euforia
Negli anni '50 Walt concentra i propri interessi di produttore cinematografico sui film live-action, fra i quali il capolavoro Ventimila Leghe Sotto i Mari (20,000 Leagues Under the Sea, 1954), e sui documentari. Ma è la costruzione e l'inaugurazione di Disneyland, nel 1955, a costituire il più grande traguardo di questo periodo. Non un semplice parco divertimenti, concetto che Walt aggira energicamente, poiché all'epoca i parchi divertimenti erano considerati presso l'opinione pubblica statunitense come luoghi degradati, squallidi e pericolosi. La necessità di promuovere il parco apre una nuova frontiera per il cineasta: la televisione. Disney mette in produzione tre show per il piccolo schermo. La serie antologica Disneyland, che a partire dal 1954 e negli anni successivi costituirà un contenitore eterogeneo di materiale inedito e d’archivio, un pulpito ideale da cui attirare l’attenzione degli spettatori sui suoi nuovi progetti. Nel 1955 viene varato il varietà per ragazzi The Mickey Mouse Club, che diventerà un'incubatrice di giovani nuovi talenti. Merita invece una menzione a parte la serie d’avventura Zorro (1957-1961) con Guy Williams, che non verrà trasmessa all'interno degli show già citati, ma si guadagnerà uno spazio autonomo nel palinsesto e riscuoterà un enorme successo.
Disneyland viene presentata come un luogo a metà fra “nostalgia ed euforia”. Nostalgia perché Disneyland è quanto di più vicino a un mondo ideale che non esiste e non esisterà mai. Divisa in settori tematici, alcune aree consistono inoltre in fedeli ricostruzioni di ambienti urbani del passato, letteralmente l'evoluzione in scala 1:1 degli amati diorami di Walt. Euforia perché questo irresistibile carrozzone inghiotte il visitatore in una fanfara di entusiasmo e divertimento, realizzato con il know-how accumulato in decenni di perfezionamento estetico, disparate invenzioni, staging. Disneyland non vuole essere un semplice parco divertimenti, dunque, ma un inno alla meraviglia, allo stupore, alla bellezza di cui è capace l'uomo, lanciato verso la convergenza compositiva di tutte le arti conosciute. Tranne una. Disneyland infatti elimina lo storytelling come fulcro e raccordo indispensabile nel complesso impianto disneyano. Le attrazioni possono avere una semplice trama o qualcosa da raccontare, ma è un aspetto che passa in secondo piano. Disneyland è pensata per sorprendere, più che per raccontare. Da un punto di vista critico, questo è uno degli snodi interpretativamente più controversi della carriera di Walt: il vertice creativo della sua carriera non ha a che fare con le storie se non in modo superficiale. Forse, in realtà, Walt non è mai stato un vero narratore? Forse è sempre stato fondamentalmente un esteta, un maestro dell'intrattenimento, un mattatore artistico, interessato alla bellezza come qualità intrinseca più che a raccontare storie? È un nodo difficile da sciogliere, d'altronde quella di Walt è una figura troppo complessa, multiforme, per certi versi irresolubilmente nebulosa nel suo continuo guizzare da un linguaggio artistico all'altro per trarre un giudizio netto al riguardo.
Molto probabilmente propenderebbe per l'ipotesi del non-narratore uno storico arci-avversario ideologico di Walt, lo scrittore britannico J. R. R. Tolkien, che (suo malgrado) insieme allo stesso Walt ha spianato la via maestra dell'immaginario novecentesco, e che nel lavoro di Walt vede un'aberrazione inaccettabile proprio per il lato dissacrante, spettacolarizzante e commerciale del suo approccio nei confronti del materiale fiabesco. Ciò che per Tolkien è bestemmia contro il nucleo narrativo delle fiabe, forse, è anche un'intuizione su ciò che sarebbe infine culminato in Disneyland: Walt ama le storie, ma ama anche la bellezza, lo stupore, l'invenzione. Con Disneyland è arrivato per Walt il momento, per lo meno nella fase di rodaggio del parco, di mettere da parte il racconto nel nome dell'obiettivo che gli sta più profondamente a cuore: dare gioia al pubblico attraverso la meraviglia e la grandezza dell'ingegno umano. La locomotiva disneyana è giunta all'apogeo del trionfo.
Al Timone Fino alla Fine
Negli ultimi anni della sua vita le ambizioni di Walt subiscono un'ulteriore metamorfosi. Da una parte si cimenta nell'organizzazione di un'università dedicata alla formazione di nuovi professionisti delle arti visive, il California Institute of the Arts (in seguito noto come CalArts), e alla pianificazione di EPCOT (Experimental Prototype Community of Tomorrow). Il progetto EPCOT prevede la costruzione di una vera e propria città chiusa nella quale sperimentare principalmente nuove soluzioni di urbanistica e mobilità, ma subirà una letale battuta d'arresto in seguito alla morte di Walt. Dall'altra, l'ormai ultrasessantenne cineasta torna a interessarsi all'animazione dopo più di dieci anni di disincantato distacco. Nel 1964 la passione per il cinema live-action incontra il redivivo amore per i cartoni animati in uno dei prodotti più felici dello studio: Mary Poppins, che insieme a Biancaneve e i Sette Nani e Fantasia è protagonista di un'insolvibile contesa, combattuta ormai da decenni fra gli storici del cinema, per il titolo di pietra miliare più significativa nella filmografia di Walt.
Torna così in auge quella scrittura mista che aveva visto Walt muovere i primi passi nel mondo dei cartoon con le Alice Comedies, ben quarant'anni prima: un'ispiratissima messinscena dal vero si sposa con l'arte dell’animazione, che è stata resa grande proprio dallo studio Disney, e con la grammatica del musical che a sua volta è stata tanto perfezionata da Walt nei decenni precedenti. Sintesi perfetta del percorso artistico disneyano, Mary Poppins vince cinque Academy Award e per la prima volta procura a Walt una nomination all'Oscar per il miglior film. Walt torna a impegnarsi a tempo pieno nell'animazione: Il Libro della Giungla (The Jungle Book, 1967) è il felicissimo epilogo della sua carriera e della sua vita come artista. È proprio Walt a stroncare il progetto di un adattamento drammatico del classico di Rudyard Kipling, inizialmente proposto dallo sceneggiatore Bill Peet, e a optare per un lungometraggio fresco, comico, spensierato, una scelta produttiva che rende la sua presenza più pervasiva che mai e che condurrà al gioiello di umorismo a ritmo di swing che oggi conosciamo. Walt non immagina che proprio questo film sarà il suo grandioso colpo di coda.
Nell'estate del 1966 si sottopone a diversi esami clinici a causa di insistenti dolori alla schiena e a una gamba, senza sospettare la reale gravità del proprio stato di salute. Nel novembre 1966 viene individuata una lesione tumorale nel polmone sinistro, a cui fa seguito una pneumonectomia. Il chirurgo che ha effettuato l'operazione conferma alla famiglia che il cancro è maligno ed è in stato avanzato, e che a Walt rimangono al massimo due anni di vita. Ma di lì a poche settimane Walt, in condizioni di salute estremamente deteriorate, viene ricoverato all'ospedale Saint Joseph's di Los Angeles. Qui, nella stanza 529, il 15 dicembre, dieci giorni dopo aver compiuto 65 anni, Walt muore per collasso cardiocircolatorio. Alcune settimane dopo, il fratello Roy racconterà al giornalista dell'Associated Press Bob Thomas: “Il giorno prima che morisse Walt era disteso sul suo letto d'ospedale e guardava il soffitto. Erano tegole quadrate perforate fonoassorbenti, e Walt se le immaginava come una mappa a reticolo per Disney World, che progettava di costruire in Florida. Ogni quattro tegole costituivano un miglio quadrato, e disse: 'ora, qui è dove scorrerà l'autostrada. E lì c'è il percorso della monorotaia'. È stato al timone della sua vita sino alla fine” .
L’Uomo dei Collegamenti
L'eredità di Walt è incalcolabile. Basti guardare alle dimensioni del nostro The Disney Compendium nel quale questo ritratto si inserisce. Il lascito di Walt è così smisurato da diventare paradossalmente impalpabile presso l'opinione pubblica. Come il cielo, talmente grande che dopo un po' non ci facciamo più caso. Lo diamo per scontato. Walt fu un artista, un visionario, un innovatore. Ripercorrendo le fasi della sua vita e della sua carriera, emerge con chiarezza quanto la sua forza consistesse nella capacità di identificare e costruire una visione complessa, ampia, trasversale, consapevole delle relazioni fra elementi diversi e del meraviglioso che può scaturire dalla compenetrazione di forme apparentemente distanti.
“Relazione” è il paradigma della sua avventura. “Come artista, non ho mai pensato di essere un gran talento” , raccontò nel 1956. “Non sono mai stato contento di nulla che abbia fatto come disegnatore. […] ho sempre amato la meccanica. Cioè, sono diventato proprio un bravo carpentiere, lavorando con mio padre. […] Posso ancora oggi andare in bottega e fare qualsiasi cosa” . In realtà sappiamo da Roger Broggie, il responsabile dell'officina dove Walt costruì i propri modellini, che con il lavoro manuale il cineasta, nonostante la passione, aveva un rapporto un po' sul conflittuale andante. “...perché era impaziente” , raccontò a Hubler, sempre nel '68. “Dunque, io predisponevo il tornio, facevo andare un pezzo e gli dicevo: 'bene, è così che si fa'. [Walt] Vedeva soltanto una parte del funzionamento ed era smanioso di azionare da solo i comandi; e a questo punto succedeva qualcosa. Magari dall'utensile veniva via un pezzo all'improvviso e lui diceva 'diamine, perché non mi hai detto che avrebbe fatto così?'. Ora, non è che sono cose che si dicono, capisci? Era una cosa del tipo – insomma – che si impara...”
Eppure, anche se nel concreto non era un meccanico nato, sul piano concettuale Walt aveva ragione: perché il suo modo di pensare, sistematicamente incapace di vedere i dettagli di un procedimento se non gli uni in relazione con gli altri, era davvero quello di un inventore che si appresta a dare vita a una meravigliosa macchina, nella quale ciascun pezzo è fatto per integrarsi in rapporto con gli altri. Walt è stato un macchinista dell'arte dal primo all'ultimo momento della sua carriera, della sua vita. Ed è difficile dire se sia venuto prima l'uomo o il treno. Se la locomotiva artistica che ha messo in moto fosse presente nei suoi sogni fin dall'inizio o se piuttosto Walt l'abbia costruita cammin facendo perché necessaria innanzitutto per se stesso, per poter lavorare in una dimensione adatta a lui, lui che non poteva pensare, operare, funzionare se non in questo modo. Forse sono vere entrambe le cose.
L’Eterna Ramificazione
Benché il suo nome nell'immaginario collettivo rimanga legato soprattutto al cinema e in particolare all'animazione, Walt applicò la propria forma mentale ai campi più disparati, evolvendosi in un genio creativo a tutto tondo, in grado di scorgere scintille di invenzione e percorsi sconosciuti da esplorare in ogni tassello della propria creatura. Immaginate che da un'idea ne nascano due, e da ciascuna delle due altre tre, e via così... Walt non solo vedeva sbocciare le novità come rami da un albero, ma era in grado di combinarle fra loro in una maniera originale e sempre più sorprendente all'aumentare degli spunti. A volte in modo contraddittorio. Walt fu anche maestro della contraddizione, impulsi opposti a livello umano, artistico, ideologico, convivevano in lui, portando a risultati se mai ancora più stupefacenti.
La Walt Disney Company ancora oggi poggia sulle radici piantate dalla mente di Walt, ne ha ereditato un pattern inconfondibile che tuttavia agli occhi dei più non risalta quanto i propri risultati. Ma questa forma mentis merita di essere approfondita nel suo insieme, ed è inscindibile dall'esperienza unica, eccezionale dell'uomo che la infuse nel proprio lavoro fino all'ultimo respiro. Per questo desideriamo raccontare Walt e la sua eredità, delineare la sua parabola che tanto ha dato all'arte e all'intrattenimento per come li concepiamo oggi. Per questo scriviamo il Disney Compendium.
Uno dei messaggi che Walt amava trasmettere è che non importa chi sei, quanto hai, ma cosa riesci a fare con ciò che hai, migliorando te stesso e il mondo che ti circonda a partire dalle tue personali, uniche, irripetibili risorse. Noi siamo appassionati che, con ciò che hanno, hanno deciso di costruire qualcosa che non c'era: un'opera divulgativa enciclopedica e diacronica, accessibile a tutti, che renda giustizia a Walt e agli artisti che hanno creato quell'inestimabile monumento artistico del nostro tempo che è la galassia disneyana. E che dopo quasi un secolo fa già parte della nostra storia, di tutti, volenti o nolenti. E la storia non va mai data per scontata.
“We keep moving forward, opening new doors, and doing new things, because we're curious and curiosity keeps leading us down new paths.”
“Continuiamo ad andare avanti, aprendo nuove porte, e facendo cose nuove, perché siamo curiosi e la curiosità continua a condurci lungo nuovi sentieri.”
di Costanza Savaia - Nata a Savona nel 1998, è studente all'Università di Genova nel corso di Filosofia. Appassionata di arti visive e scrittura, dal 2019 al 2022 ha collaborato con il settimanale “L'Espresso”. Innamorata dell'aviazione, è parte di “Voli di Mare”, una delle ultime associazioni italiane dedicate al volo in idrovolante.
Scheda tecnica
- Titolo originale:
- Anno: 0
- Durata: 0 minuti
Credits
Nome | Ruolo |
---|